Un libro che ho letto

Un post che comincio a scrivere in volo, prima che svaniscano dalla mente le impressioni di un libro che, finalmente, ho letto – e tutto d’un fiato.

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L’aereo su cui sono salita meno di due ore fa sta per cominciare la sua discesa su Casablanca, e so che fra poco le hostess verranno a chiedermi di chiudere il computer, ma ci tenevo a cominciare subito a buttare giù qualche impressione su un libro che ho cominciato mentre stavo decollando da Roma e che ho finito poco dopo che la linea rossa della nostra rotta, sugli schermi televisivi sospesi sopra ai nostri sedili, abbandonasse la costa spagnola per varcare lo stretto e dirigersi verso l’Africa. Sono stata nelle Americhe del Nord e del Sud, in Asia e in tutta Europa, ma sarà la prima volta in assoluto che metto piede su questo continente. E sono una appassionata di Casablanca, per me uno dei film più romantici della storia del cinema, e anche se so bene che è stato girato tutto negli studi della Warner Brothers a Los Angeles, beh, quel nome resta sempre un simbolo di incroci fatali e scelte storiche, un limbo di passaggio fra due continenti lontani, uno snodo fra due vite – quella prima e quella dopo. La prima e la seconda, potremmo dire.

nadira4.JPGForse è per questo che non voglio aspettare di toccare terra per riflettere su Sarka, un libro di cui avevo sentito parlare ormai molti mesi fa ma che, inizialmente, mi aveva lasciata un po’ sospettosa. Per qualche motivo che non so, mi ero fatta il pregiudizio che fosse solo uno di quei romanzi dozzinali che decine di scrittori dilettanti tengono nel cassetto per poi pubblicarli a proprie spese – passando poi anni a sbattersi per propinarli ad amici, parenti e conoscenti occasionali dopo essersene ritrovati sul gobbo un paio di migliaia di copie invendute. Questa idea non mi aveva abbandonata nemmeno dopo aver frequentato per un po’ il blog affascinante (e oggi da tempo chiuso: peccato) di Naadirah Graves, che dell’autore Claudio Forti è stata, credo, amica e guida nelle prime esplorazioni di Second Life, e che in Sarka ha un ruolo non secondario. Naadirah, che di professione fa la escort virtuale, vive la sua professione con l’orgoglio di chi può permettersi di additare senza peli sulla lingua l’ipocrisia degli altri: pur senza averla mai incontrata online, trovavo che le sue considerazioni sul modo in cui alcuni di noi avatar esplorano le loro emozioni nel metaverso fossero particolarmente interessanti, anche se lontane dalla mia esperienza personale. E se una come lei si era prestata a partecipare alle presentazioni di Sarka in world e anche (udite udite) nel mondo reale, forse, significava che in quel libro c’era qualcosa che valeva la pena di esplorare.

PentheusMedium.jpgEppure, per mesi, ho traccheggiato, rinviando il momento dell’acquisto… un po’ forse perché Second Life per me è un mondo così magico che non volevo rischiare una delusione… e un po’ anche perché mi piaceva poco il titolo. Anche se si tratta di un nome boemo, “Sarka” risveglia i miei ricordi del liceo classico: non vado certo a controllare sul Rocci, ma in greco antico sarkos significa carne (tanto che la parola sarcofago, il contenitore di cadaveri, significa, in effetti, divoratore di carne). Ancora oggi ho un ricordo abbastanza vivido dell’epilogo delle Baccanti, che avevo dovuto tradurre dalla versione originale di Euripide, in cui le sfrenate virago eponime giocano a palla con le carni dell’incauto protagonista, Penteo, dopo averlo fatto, letteralmente, a pezzettoni. Insomma, niente di particolarmente piacevole.

A farmi decidere, finalmente, per l’acquisto, è stata una chiacchierata con Mandala Ryba, che invece Sarka me l’ha raccomandato caldamente. Sarà anche questo un mio pregiudizio, ma di una scrittrice che parla bene di un collega tendo a fidarmi istintivamente – tanto più che Mandala, prima che scrittrice RL, è anche lei un avatar e quindi sa bene che cosa significa vivere su Second Life. Ho cercato il libro in alcune librerie e nelle Feltrinelli di Roma, ma non ci sono riuscita (quanto detesto questa politica della Feltrinelli di emarginazione della piccola editoria!), così sono andata sul sito dell’editore Di Renzo e l’ho ordinato.

sarka_027.jpg“Sarka” è la storia di un affermato professionista, l’architetto Marco Farnese, che si affaccia su Second Life per la prima volta e, come tutti noialtri avatar, scopre le sensazioni contrastanti della nascita nel metaverso: il trovarsi all’improvviso ad esistere, adulti nell’aspetto ma infanti nella capacità di muoversi e di interagire, in un ambiente pieno di gente anch’essa all’affannosa ricerca di un senso, una meta o un’identità. E soprattutto, all’inizio, senza conoscere ancora nessuno: a differenza che nella vita reale, quando apri per la prima volta gli occhi su questo mondo di pixel non hai l’appoggio e il conforto di una famiglia che guidi i tuoi primi passi, e devi essere tu a scoprire da sola come si fanno le cose più elementari. È la fase più difficile per chi affronta Second Life per la prima volta: quella in cui moltissimi si scoraggiano e mollano subito prima di affrontare una curva di apprendimento che all’inizio è piuttosto ripida – e che, vorrei aggiungere, sono convinta funga da filtro per evitarci un’invasione di persone senza la motivazione giusta. Perché anche se ognuna di noi lo vive in un modo tutto suo, Second Life non è sicuramente un mondo per tutti.

L’avatar del protagonista, Jozeph, fa un po’ come feci io a suo tempo dopo i primi giorni di esplorazione: si scoccia e se ne va, ma torna dopo un po’ e, stavolta, fa l’incontro che segnerà il suo destino. Sarka è una fanciulla bellissima, ma sappiamo bene che su Second Life questo vuol dire ben poco – quasi tutti hanno un aspetto bellissimo, nel metaverso. Quello che può conquistare è il carattere, e l’atteggiamento di Sarka verso il protagonista è tale da conquistarlo quasi all’istante. Jozeph, e tramite lui Marco, svilupperà per la ragazza una vera e propria ossessione, mettendo a rischio per lei la sua professione e il suo stesso matrimonio.

Voglio dirlo qui e subito: Sarka forse non è un grande romanzo ma di certo è un libro bello, con una voce che suona sincera a tal punto che mi piacerebbe sapere quanto ci sia di autobiografico, nella vicenda del protagonista. La mia esplorazione di Second Life è iniziata in un periodo piuttosto cupo della mia vita e, nel velocissimo sprofondare del protagonista di Sarka nei seducenti gorghi elettronici, ho ritrovato molto della mia esperienza personale. Forse è vero che fra i requisiti per scoprire Second Life deve esserci il desiderio di fuggire da qualche situazione personale difficile e il protagonista annota, lungo la strada, qualcosa che ho notato anche io nei miei due o tre anni di esistenza: tante persone spinte da qualche mancanza personale – mancanza di felicità o di compagnia, di un lavoro, della salute, di persone con cui condividere certi segreti, dell’occasione o del coraggio per esplorare in RL le proprie fantasie. Fatto sta che Second Life può, senza dubbio, arrivare ad assorbirti molto al di là di quel che sarebbe giusto per il tuo stesso equilibrio mentale. Trasformandoti in una drogata che, nei momenti più acuti, può arrivare a mentire per nascondere alle persone a che punto il proprio vizio sia diventato divorante.

AliasNirvana_001.jpgSo che questo, a me, è successo, e che la rinconquista dell’equilibrio è stata frutto di uno sforzo lungo e faticoso, perché anche se mi è sempre stato chiaro che la mia RL era più importante della mia esistenza virtuale, quando ho tentato di rinunciare di colpo a Second Life mi sono accorta che l’idea di chiudere per sempre la porta sul mio mondo dei sogni mi era assolutamente insopportabile. Mi rendo conto che parlo come uno di quegli alcolisti che dicono “Mi chiamo Win e non bevo alcol da due settimane”, aspettando poi l’applauso degli altri membri del club, ma da più di un anno credo di essere riuscita a trovare un equilibrio accettabile che, con qualche sacrificio a volte doloroso, ha rimesso la mia vita reale al primo posto ma mi permette di continuare a sognare, senza abbandonare del tutto gli affetti e le amicizie che ho avuto la fortuna di raccogliere.

Cercherò di tornare sull’argomento (che credo sia strettamente connesso al fatto di essere passata da un ruolo tendenzialmente sottomesso a quello attuale di direttrice di carcere e, diciamo, custode di chiavi) ma stavolta vorrei tornare su Sarka. Una cosa che mi ha colpito è che il protagonista Marco non si identifica col suo avatar Jozeph: anzi, a volte prova persino gelosia nei suoi confronti. Tutto il libro è percorso dalla dualità fra l’avatar e la persona che sta al di qua della tastiera – quella che qualcuno chiama burattinaia, qualcuno picchiatasti, qualcun altro agente… e che Claudio Forti sceglie di chiamare creatore. Per quello che mi riguarda, Win corrisponde al 100% con la persona che le sta dietro e ne costituisce una sorta di estensione (di accrescimento, se vogliamo citare ancora una volta il bel libro “Umanità accresciuta” di Giuseppe Granieri) in un mondo elettronico dove può fare tutto ciò che la RL non le consente. Per Claudio Forti non è così, tanto che a un certo punto scatta per lui la riflessione su cosa significhino, su Second Life, i concetti di maschera e di gioco di ruolo. Ne riporto due paragrafi chiave:

(…) Se in un mondo come quello di Second Life tutti decidessero di rivelarsi non ci sarebbe più gusto. Tutto diventerebbe banale, si perderebbe il senso del gioco di ruolo. Ma per Marco quello non era un gioco di ruolo. O non lo era più. O, forse, non lo era mai stato. Da quando aveva conosciuto lei, Sarka, e l’aveva conosciuta quasi subito, per Marco il senso del gioco, del gioco virtuale, era svanito, sostituito da una ricerca interiore, attraverso la figura di quella donna. Per Marco quello era un percorso iniziatico, una trasmutazione alchemica che avrebbe dovuto portarlo, secondo le percezioni che sentiva profonde nella sua anima, a trasformare le sue paure e le sue angosce in momenti di vera gioia.
Per questo non poteva accettare di quel mondo l’idea di “maschera”: non si era mai, veramente, identificato in Jozeph, mai aveva delegato a lui il compito di rappresentarlo in quella strana realtà. Per lui Jozeph era un intermediario scomodo. Una creatura che non avrebbe potuto aiutarlo veramente , se non permettendo a lui, il creatore, di tornare alla realtà, filtrandola col sogno. Marco non stava affrontando la realtà. E non stava vivendo la dimensione del sogno. Stava cercando di collegare le due parti di quel cavo chiamato realtà, inframmezzandovi una scatola magica, contenente Jozeph, chiamata sogno (…)

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Come sa chi mi conosce, io sono vivacemente a favore della separazione fra SL e la RL: se vogliamo sognare, allora è fondamentale non appesantirci le ali con troppa realtà, e forse sarebbe anche il caso di ridefinire il concetto stesso di gioco di ruolo. Mi è capitato qualche giorno fa di discutere con una prigioniera che al WCF sta vivendo ore molto, molto angosciose perché è stata presa di mira da alcune guardie (il disegno qui sopra è opera sua). Il loro accanimento nei suoi confronti sarebbe ambitissimo da alcuni dei nostri prigionieri abituali, ma per questa particolare prigioniera essere tormentata e tiranneggiata senza motivo apparente si sta rivelando un’esperienza devastante e irredimibilmente sgradevole – alla quale, tuttavia, fedele alla linea (che condivido) di non barare mai, non intende sottrarsi con cheat o con safeword. “Io non ruolo mai”, mi ha detto durante una lunga conversazione in cui mi sforzavo di capire se le sue proteste erano reali o “recitate”. È vero che quando si entra in una prigione – come ben spiegava Stacey Westminster nel suo articolato commento – il punto centrale è che si perde qualsiasi controllo su se stessi, e ci si può aspettare solitudine completa per molte ore, interazione con guardie buone, cattive e in qualche caso anche sadiche o psicopatiche. Ma è anche vero che non tutti si divertono a recitare un ruolo precostituito e qualcuno – come faccio io e come, evidentemente, fa quella prigioniera – si limita a reagire, cercando per quanto possibile di mantenersi coerente, a quello che le accade, per evitare di dettare le regole dal basso.

Questo è ruolare o è essere se stessi anche per interposto avatar? Non saprei rispondere e nemmno mi interessa fino in fondo farlo. Quello che mi sembra chiaro è che il protagonista di Sarka, per esplicita ammissione dell’autore, non fa nè la prima nè la seconda cosa ma si trova a inseguire nella vita reale la persona vera che sta dietro all’avatar. Usa, insomma, il sogno come un mezzo e non come il fine ultimo della sua attività su Second Life. E per questo, secondo me, è condannato fin dall’inizio alla sconfitta.

Non rivelerò il finale del libro, che riesce a trovare una soluzione inaspettata e soddisfacente dal punto di vista narrativo. Ma il meglio di Sarka sta nel fatto che è stato scritto, evidentemente, da qualcuno che su Second Life non si è limitato ad affacciarsi per qualche ora quando era di moda, bensì da una persona che ha saputo capirne la dimensione di ritorno onirico all’adolescenza… e anche di ponte fra le persone al di là delle barriere di età, sesso e distanza. Nel metaverso tutto è possibile: coppie inseparabili che abitano in continenti diversi (separate solo dal fuso orario in una versione cyber-globale dell’Avventura di due sposi di Italo Calvino), sessantenni che dimostrano un terzo della loro età e adolescenti dai capelli bianchi, uomini in avatar femminili e ragazze provviste di attributi che farebbero l’invidia di Rocco Siffredi, gatti antropomorfi, cani porcelloni, draghi dal cuore spezzato. Tutti in grado di toccarsi, reciprocamente, l’anima e farla vibrare. È solo questo, credo, l’unico ponte possibile fra SL e RL. Ma è un ponte che se il sogno si azzarda a cercare di diventare la realtà è destinato a crollare – e a portarsi giù, nel crollo, un bel po’ di roba preziosa.

Un libro che ho lettoultima modifica: 2009-12-05T16:19:00+01:00da winthorpe
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Un pensiero su “Un libro che ho letto

  1. A sapere che stavi da mesi attendendo di leggere Sarka te l’avrei caldamente consigliato pure io… anche perchè Claudio è una persona che fa piacere conoscere e dotata di una buona capacità di scrittura. In più è nella vita reale anche autore di pezzi teatrali, quindi il meccanismo di “attori-spettatori” e la possibilità di fondere elementi reali e virtuali come dire.. gli vien bene.
    Non svelerò il finale del romanzo ma se mi unisco a te nell’apprezzamento per il volume (che lessi un annetto fa) e nel ricordo di un’amica come Naad (che ho la fortuna di aver potuto conoscere un poco anche “fuori” SL, proprio grazie a Sarka), sempre stimolante e mai banale, divergo sull’opinione che sia destinato “ex ante” a sconfitta certa chi cerca di utilizzare il sogno come strumento per “scardinare” il suo reale e ricostruirselo. A me e mia moglie in fondo è successo “per davvero” di iniziare virtualmente e poi di conoscerci nella realtà e decidere che non era solo un gioco di ruolo ma una vera condivisione di interessi. Vera al punto che dopo 10 anni e nonostante gli inevitabili problemi e affanni che RL ci regala a piene mani entrambi rifaremmo tutto daccapo senza cambiare una virgola.
    Quindi chissà, per alcuni una storia “stile Sarka” potrebbe persino avere un lieto fine reale… mai dire mai. ;-)

    Luca Spoldi aka Lukemary Slade
    http://www.slnn.it

    Ps una recensione di Sarka la trovavi pure da noi, qui: http://www.slnn.it/events/in_libreria_sarka_il_primo_romanzo_ambientato_in_sl.html :p

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