La vita, la morte, gli avatar

Pochissime, veloci, considerazioni, sul film che tutti stanno andando a vedere e su un altro film che è nelle sale in questi giorni.

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Potevo non andare anche io a vedere Avatar? In genere, la fantascienza che piace a me è quella un po’ più concettuale, che usa il fantastico per parlare di quello che siamo nella realtà. Tendo a diffidare, invece, del fantasy di pura evasione, dei mondi fatati, dei troppi colori, e sapevo che il nuovo film di James Cameron proponeva soprattutto questo. Eppure, beh, Cameron è lo stesso che, nel primo Terminator, è riuscito a rivedere in modo originale il complesso di Edipo… e che in The Abyss ha creato una scena per me bellissima in cui un personaggio, per poter sopravvivere, deve accettare di morire, sia pur temporaneamente, per annegamento. Insomma, non certo un Ingmar Bergman, ma nemmeno un cialtrone che bada solo agli effetti speciali.

valentinavatar_001.jpgIn questo caso, avevo abbassato comunque le mie aspettative: quando si ha in mano un film costato quasi 300 milioni di dollari, è molto improbabile che si tenti qualcosa di tematicamente innovativo. Sono entrata in sala pronta ad accontentarmi di un’esperienza sensoriale e visiva, a godermi lo spettacolo del 3D e a lasciarmi andare a una storia che, me lo dicevano tutti, non andava molto oltre un incrocio fra “Pocahontas” e “Balla coi lupi”. Però però…

…beh, il film, dopotutto, si chiamava “Avatar” e mi era impossibile andare a vederlo senza pensare al fatto che, come tutte le persone che frequento su Second Life, io sono esattamente quello: un avatar, una rappresentazione, un simbolo, un personaggio che è al tempo stesso me stessa e qualcosa di diverso. Qualcosa (o qualcuno) che io vedo in terza persona (salvo quando qualcuno mi costringe alla visione soggettiva del mouselook, eheheh) pur vivendoci in prima persona. Qualcosa di strano e inquietante, che è diventato a suo modo realtà solo da quando internet ha reso possibile la costruzione di metaversi affini a quello teorizzato dal buon Neal Stephenson. Il 15 gennaio, il giorno in cui “Avatar” usciva nel nostro paese, era esattamente due giorni prima del mio terzo “rez day” (a proposito: grazie di cuore a tutte le persone che, in-world o su Facebook, mi hanno fatto gli auguri. Io stessa non mi sarei nemmeno accorta della data se tramite lo SPY non avessi sentito Lella che ne parlava con Nightwish!) e quindi potrei dire di essermelo offerto anche come una sorta di regalo di compleanno.

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Dico subito che mi sono divertita, ma non sono qui per fare una recensione: mi interessa invece annotare quello che mi sembra possa riguardare la nostra vita di abitanti di Second Life. Che il tema del film non fosse quello degli avatar come li intendiamo noi lo sapevo fin dal principio – ne avevo avuto conferma anche da un’intervista a Cameron che Frough Spad aveva postato su Facebook lo scorso 18 dicembre. Eppure “Avatar” ha almeno un paio di momenti interessanti anche dal nostro punto di vista – momenti in cui si può intuire la complessità di un tema che Cameron si limita appena a sfiorare.

Immagine 1.pngMolto molto in breve, il film racconta di un marine che viene inviato in missione sul remoto pianeta di Pandora. Per consentirgli di mescolarsi ai Navi’i – un popolo di altissimi umanoidi blu – gli viene fornito un corpo identico a quello degli indigeni, un corpo che si può controllare a distanza tramite una sorta di loculo munito di sensori. Siamo, come si vede, in una situazione che corrisponde in pieno alla definizione di umanità accresciuta di cui abbiamo più volte parlato: tanto più che il protagonista è paraplegico e che, di conseguenza, la sua second life in un fiammante nuovo corpo blu gli offre anche l’occasione di non dipendere più da una sedia a rotelle. Ed ecco subito un primo riferimento molto forte a ciò che Second Life significa per tante persone: un luogo dove recuperare qualcosa che si è perduto (che sia la giovinezza o il controllo sul proprio corpo) o che non si è mai potuto avere nella vita reale (volare, oppure vivere fantasie potenzialmente rischiose… come le nostre).

Immagine 2.pngSolo che questa conquista di nuovi poteri è condizionata dal vincolo fra, diciamo, agente reale e avatar. Poiché su Second Life siamo solo pixel, quando questo nesso viene a cadere il nostro avatar si dissolve nel nulla passando immediatamente alla non esistenza. Nel film, invece, l’avatar è un corpo fisico e pertanto continua a esistere anche quando l’agente reale ne abbandona il controllo: e infatti. di regola, questo distacco avviene normalmente solo dopo che l’avatar si è coricato per dormire. Quando, in un paio di scene, il protagonista viene costretto a uscire dal suo loculo di controllo nel pieno di un’azione, il suo avatar si affloscia esanime a terra – e lì rimane come un corpo morto, almeno fino a quando la connessione non viene ristabilita.

Insomma, il rapporto fra gli avatar di “Avatar” e i loro agenti assomiglia molto a quello che intercorre fra il nostro pensiero (la nostra anima, o come vogliamo chiamarla) e il nostro corpo fisico. Quando ci addormentiamo, il corpo resta lì ad aspettare il ritorno dello stato di veglia… e al momento della nostra morte, almeno per un po’ di tempo, la nostra spoglia mortale resterà sulla Terra come testimonianza del nostro passaggio. Su Second Life, al contrario, scompariamo nel nulla nell’istante stesso in cui, facendo logoff, togliamo all’avatar la coscienza di esistere . Chissà che non sia proprio questa la chiave che spiega il perché, a volte, ci scopriamo a restare online per ore e ore anche quando, magari, non ci sta succedendo nulla di particolarmente appassionante? Restare connessi, nonostante la noia, per il semplice piacere di continuare ad esistere anche nel metaverso. Perché fin tanto che esisti tutto è ancora possibile.

Immagine 4.pngQuesta considerazione si ricollega all’altro film che ho visto in questo fine settimana: si intitola “A single man” ed è interpretato da Colin Firth, un attore che trovo bellissimo e che è anche straordinariamente bravo. Attenzione, se non lo avete ancora visto, perché di questo film rivelerò il finale nelle prossime righe. È la storia di un uomo che, dopo la morte della persona che amava più di ogni altra cosa al mondo, ha deciso di suicidarsi: solo che la vita, le persone che gli stanno attorno, il caso, hanno ancora qualcosa da offrirgli… momenti di calore che irrompono a sprazzi nel gelo che ormai lo circonda. Il regista Tom Ford esprime questi momenti in modo visivo: ci sono sorrisi, frasi, situazioni in cui l’immagine diventa, letteralmente, più calda nei momenti in cui il cuore del protagonista viene toccato da qualche emozione. Alla fine del film, il desiderio di vivere di Colin Firth vince sul suo proposito suicida; solo che, proprio in quel momento, un infarto improvviso se lo porta via. Eppure non si tratta di un finale triste, perché il protagonista, se mi permettete il bisticcio, muore vivendo – e non rinunciando alla vita. Visto che, prima o poi, tutti dobbiamo andarcene, quello che conta è, come sempre, il percorso, e c’è una certa differenza fra scegliere di anticipare la fine del viaggio e arrivarci mentre si sta tentando di goderselo.

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Immagine 3.pngMa voglio tornare ad “Avatar” per un’ultima considerazione che rubo di peso dal profilo Facebook di uno dei miei contatti (e che mi sono già rivenduta in un commento a un altro articolo sul film apparso su SLLN.it): “(…) Per gli amanti di Sl, la chiara conferma che non si può vivere a scavalco di due mondi, occorre scegliere, altrimenti si sta male e si diventa inevitabilmente traditori. Il protagonista, accortosi di essere diventato traditore ha scelto. Era inevitabile….“. Ecco, mi pare un’analisi molto lucida di quello che prova chi vive la sua Second Life con trasporto: una vaga sensazione di disagio, quasi che, mentre si sta nel metaverso, si tradisse tutta la propria vita reale – ma anche la sensazione opposta, di quando si abbandona online qualche avatar che pensiamo abbia bisogno di noi.

Davvero non è possibile vivere con l’anima in due mondi? O è solo un difficile esercizio di equilibrio col quale, via via che il concetto di metaverso si diffonde, faremmo bene a familiarizzarci?

[AGGIUNTA 24 ORE DOPO: Ci tengo a segnalare, in coda a queste riflessioni, una vera e propria risposta dedicatami da Alessia Greggan in un suo blog interessantissimo che sto, pian piano, leggendomi tutto con attenzione. Il suo post si intitola Dedicato a Win: prigioniera come me di Second Life, ma veramente consiglio di affrontare il suo blog partendo dai post più vecchi e risalendo fino a quelli più recenti. Ne vale la pena, davvero, perché contiene una marea di considerazioni molto sentite su ciò che significa vivere nel metaverso – e anche per scoprire lungo la strada come mai sia stato, in tempi recenti, quasi abbandonato…]

La vita, la morte, gli avatarultima modifica: 2010-01-19T15:06:00+01:00da winthorpe
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