La vendetta di Cerdita

Lo spirito dominatore di Cerdita Piek, esplode in modo inaspettato facendomi pagare lo scherzetto di qualche tempo fa. Ma il nostro è uno scontro fra titani bastardi del Real Restraint. E mi fa ricordare perché frequento le sim italiane così di rado.

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Sono giorni, ormai, che quasi tutto il mio tempo su Second Life è dedicato a creare nuovi bane e ad amministrare quelli che già vagano prigionieri della diabolica invenzione concepita da Evil Dolly e resa (virtualmente) reale da Marine Kelley. È un’attività che fa felice il mio diavoletto dominatore ma che, alla lunga, è abbastanza pesante: non si tratta solo della procedura di bane-ificazione (che comunque, se si fa un minimo di roleplay, un’oretta e mezza di tempo la richiede tutta) ma anche di tutto quel che segue – è un continuo ricevere comunicazioni: qualche prigioniera che comincia a rendersi conto del guai in cui si è cacciata, Marine che ha bisogno di una mano per gestire emergenze di qualcun altro, nuovi prigionieri che attendono con ansia il loro turno… e oltre a tutto questo c’è l’ordinaria amministrazione, prendere l’iniziativa di controllare come stanno i tuoi bane, vedere che non stiano accumulando punizioni eccessive e se necessario andarli a trovare. Sei il loro unico contatto con il mondo e, almeno una volta ogni due o tre giorni, è meglio che tu vada a darci un’occhiata per qualche parola di conforto e magari un consiglio o due.

282211938ba26d14996b4b8e23f1d043.jpgd2eb7f906b2aca001018f551501fc880.jpg Tutto questo per spiegare come mai, una mattina, non resisto più all’impulso che sento intensificarsi da qualche giorno. E mi rimetto le manette che, mi rendo conto con stupore, praticamente non indossavo più da almeno dieci giorni. Tecnicamente, avere le manette addosso è una finzione: di base, su Second Life, nessuno può costringerti a fare qualcosa contro la tua volontà – nemmeno ammanettarti. Fino all’introduzione dei Real Restraints, anche quando incontravi un aspirante rapitore, da parte tua ci voleva un sacco di buona volontà nel fingerti impotente a reagire, nel toglierti evntualmente gli indumenti che il catturatore voleva strapparti di dosso, nel sederti sulle poseball scelte dall’aguzzino. E in ogni momento era possibile tirarsi indietro, dire di no, rifiutarsi di fare questo o quello. Insomma, non esattamente l’ideale per provare la sensazione di perdere il controllo su se stessa. La grande innovazione delle manette Real Restraint (o di altri legami equivalenti, prodotti da Marine Kelley ma anche da altri) è che consentono invece al primo che ti ruba le chiavi di farti tutto quello che gli pare: e ti offre il brivido di sentirti veramente vulnerabile, pronta per l’avventura, progressivamente trasformabile in un oggetto in balia di qualche persecutore. Nel gioco, poi, sarà cura del catturatore di fingere, con un po’ di roleplaying, di essere lui ad avvolgerti nelle corde, a chiuderti nelle cinture o a incatenarti.

Il mio ritorno alla vita pericolosa dovrebbe avvenire gradualmente: prima di indossarle, ho tolto dalle manette il Nasty, quello script malefico che, fra l’altro, consente al rapitore di toglierti tutti i tentativi di evasione. Per giunta, ho avuto cura di tenere da parte le chiavi delle manette, in modo che un rapitore occasionale non abbia modo di scipparmele a sorpresa. Però non ho tenuto conto di un altro script che ormai abita di default in tutti i miei legami e che permette a un selezionato numero di amici di sfilarmi le chiavi di tasca anche quando le tengo nascoste: si tratta di “Friends” di Chriss Rosca, di fatto ormai uno standard irrinunciabile per chiunque utilizzi i legami di Marine. Ma anche un fattore di rischio elevatissimo, soprattutto quando si bazzicano posti come Stonehaven. Mi materializzo lì dopo giorni e giorni di assenza e, dopo pochissimi istanti, accadono quasi simultaneamente due cose: accanto a me comincia ad apparire la mia vecchia amica Cerdita Piek, e le mie manette scattano all’improvviso, bloccandomi le mani dietro la schiena.

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Le prime due regole imposte sono relativamente semplici: posso rivolgermi a lei solo chiamandola Lady Cerdita e, in sua presenza, devo sempre restare in ginocchio. Ma è solo l’inizio della giornata, perché stavolta fa sul serio. E, dato che si deve scollegare per un’oretta, la sua prima mossa è di trascinarmi al labirinto di vetro chee si trova sul tetto della stanza delle gabbie di Stonehaven, sfidandomi a uscirne entro 30 minuti. Se non riesco a uscire in tempo, sibila minacciosamente, sarò punita con 30 minuti di detenzione in gabbia per ogni minuto di ritardo. Per assicurarsi che nessuno possa aiutarmi, Cerdita mi imbavaglia (eliminando così anche la possibilità che io comunichi con qualcuno tramite IM) e mi ficca nelle orecchie certi tappi che bloccano completamente la chat pubblica. Da questo momento in poi, quando qualcuno parla, tutto quel che posso sentire è: “…”. Con le caviglie legate e i polsi serrati dietro la schiena, rimango sola nel labirinto, a strisciare sulle ginocchia per i corridoi, cercando di farcela più in fretta possibile. Non è la prima volta che affronto questa prova, ma l’altra volta ci sentivo bene – e c’era Zahnbuerste Strom che, dal soffitto trasparente, mi aiutava a trovare la strada. Stavolta invece nessuno può aiutarmi – nemmeno le compagne di sventura che, ogni tanto, incontro fra le pareti trasparenti, e che mi guardano con commiserazione per poi passare oltre.

Quando riesco a uscire dal labirinto, di minuti ne sono passati 40 a una piccola folla si è accalcata fuori: fra gli altri ci sono Novaline, che qualche tempo fa ho tormentato un po’ e che da allora mi sta dietro, e un certo Pedro Gibbs, che è venuto a cercarmi a Stonehaven dopo aver trovato per caso questo blog ed esserne diventato uno dei lettori più avidi. Pedro si illude di prendermi come schiava, come del resto il signor Garrigus, ma ancora non mi conosce e l’ho avvertito che si illude se spera di piegarmi con la persuasione. In ogni caso, è davanti a questa e altra gente che Cerdita mi umilia, definendomi stupida come una bionda (e facendomi tingere i capelli di conseguenza), preannunciandomi cinque ore di detenzione in gabbia per la mia lentezza nell’uscire dal labirinto, e infine trascinandomi in un pub lì vicino per farsi un bicchiere prima della mia detenzione.

6af66fe56ae94bff758457701a23c326.jpg 458e102903cc95e9467ad0e2f7b91c94.jpg8764d78af15db59a24b67f5d7565711b.jpg807e86f6cd4d29f51633581cc3c6d60c.jpg e0385e4034cd7bdea3ab751c9702d262.jpgAdesso non vorrei farla lunga, ma qualcosa la devo dire, per evitare che si continui a pensare a Cerdita come alla simpatica e sottomessa damsel in distress: prima di dare da bere anche a me, con la gola secca dopo tre quarti d’ora di bavaglio, l’ex innocente fanciulla pretende che io le pulisca le scarpe – prima coi miei capelli biondi poi addirittura con la lingua. Quindi mi nega la bottiglia d’acqua, obbligandomi a bere come un cane da una ciotola posta sul pavimento. Il tutto, con la proibizione di rimettermi in piedi, e l’obbligo ricorrente di chiamarla Lady. Infine, terminata la serie delle umiliazioni, mi trascina in un sotterraneo a Snark e mi sbatte in una gabbia di sua concezione, decisa a tenermici chiusa per almeno 5 ore – anzi, più a lungo, per farmi scontare il fatto che, durante la prigionia e col suo permesso, ho lasciato che mi raggiungesse una mia bane che aveva urgente bisogno di assistenza. Infine, se ne va per un po’, lasciandomi la sola compagnia di Nitalia, una vecchia conoscenza che qualcun altro ha incatenato nella stessa stanza, e con la quale posso fare due chiacchiere.

Ma non è la conversazione che può distrarmi dalla missione principale, che è sfuggire in qualche modo alle grinfie di Cerdita. Questa volta, a tradire la mia persecutrice è il fatto di avermi chiuso le manette con un timer che, in sua assenza, scatta restituendomi le chiavi… e la sua gabbia, per quanto ben chiusa, è di quelle la cui porta si può forzare con tempo e pazienza – e a me non manca l’uno nè l’altra. Proprio quando Cerdita riappare, un attimo prima che io mi genufletta per evitare ulteriori castighi, la serratura cede al mio ennesimo tentativo di forzarla e la porta si spalanca.

C’è un attimo di silenzio e di esitazione in cui nessuno si muove. Cerdita mi guarda, io guardo lei. Nitalia osserva entrambe. Poi io scatto fuori dalla gabbia e mi avvento verso la scala che porta alla libertà. Sto per slanciarmi verso l’alto, quando Cerdita urla. URLA. Furiosa. “Schiava! Fermati immediatamente! Torna qui!” Il tono di autorità  nella voce mi paralizza per un attimo, e resto immobile alla base delle scale. Guardo la libertà verso l’alto, poi la mia persecutrice, poi di nuovo l’uscita. È così strano, questo momento: niente di fisico mi imprigiona, ma la voce di colei che fino a un momento fa mi teneva prigioniera ha il potere di soggiogarmi. O quasi, perché anche se non scappo su per le scale, nemmeno mi avvicino a lei. Resto lì, ferma, come un coniglietto che in mezzo alla strada fissa i fanali del camion che sta arrivandogli addosso a tutta velocità.

Poi faccio un passo, uno solo, verso Cerdita, che si sta avvicinando. Chino la testa, sento le mie ginocchia che si piegano, cado a terra. Rialzo lo sguardo e vedo la mia padrona avvicinarsi, gli occhi che lampeggiano di rabbia, pronta ad ammanettarmi di nuovo, a punirmi, a farmi rimpiangere questo pomeriggio come se fosse stato una scampagnata. Lei si ferma a un passo da me, mi prende il mento con una mano, mi fissa negli occhi, mi grida in faccia.

E a questo punto in me succede qualcosa che io stessa non mi aspettavo. Sostengo il suo sguardo, le sorrido in modo strano, poi abbasso gli occhi sulle sue mani, che stanno digitando insulti.

Dalle tasche estraggo un rotolo di corda e velocissima glielo avvolgo attorno ai polsi, legandoglieli strettamente dietro la schiena. Con un calcio, la faccio cadere sul pavimento e le sono addosso, con altra corda, che le avvolgo intorno alle gambe. Cerdita strabuzza gli occhi, urla, insulta, ma è troppo tardi: è mia adesso, e tutto quello che mi ha fatto passare glielo farò pagare con gli interessi.

Sì ma… che fare? Cerdita è stata legata in mille modi, umiliata e schiavizzata al punto che stavolta bisogna escogitare qualcosa di veramente terribile per punirla. Mentre ci penso, decido di portarla a Villa BDSM, dove una nuova amica – Belias Rubble – mi ha pregato di recarmi appena possibile per votare una sua amica ad un concorso analogo a quello in latex a cui sono arrivata seconda. Soffoco le urla di Cerdita con un bavaglio, le stringo al collo un guinzaglio di corda e me la porto nella sim italiana dove Cielo ci accoglie con entusiasmo.

Anche troppo, forse: Cielo mi sommerge di proposte – chiudere Cerdita nella Machiavelli (una gabbia di sua invenzione in cui si guadagna qualche dollaro quando si riesce ad uscire), venderla come schiava, legarla a un palo. Intanto la mia prigioniera urla e scalpita, si dimena, strattona il guinzaglio, cerca di prendermi a calci. Sono costretta a trascinarmela dietro incaprettata, poi la lego al palo offerto da Cielo per, diciamo così, convincerla con le buone a votare per chi dico io. La cosa va per le lunghe perché c’è un deficiente, Montgomery qualcosa, che approfitta del fatto che Cerdita sia legata al palo per tirarle qualche scudisciata. Un comportamento che non accetto: Cerdita adesso è mia, e io sola posso decidere che punizioni imporle. Spingo Montgomery via in malo modo, poi torno a dedicarmi alla mia opera di convinzione: a ciascun suo rifiuto, le strappo di dosso un indumento, fino a quando Cerdita piega il capo e accetta di votare per l’amica di Belias. Solo che poi, quando le sblocco l’interazione, si mette a votare tutte le candidate tranne quella che le ho detto io. Ah, è così, eh? Maledetta spagnola. Adesso ti sistemo per le feste.

cb2ecfd33237ec4e9a4630ddaed6a559.jpg1d0df2c7c5a2b7bf4a8e78a8d4d5a7a8.jpg Afferro Cerdita in malo modo e per prima cosa le blocco di nuovo le interazioni. La trascino verso il cosiddetto “Infinito”, un monumento che è l’orgoglio di Cielo e compagnia, e la lego saldamente ad esso (usando la funzione “force sit” delle corde e inibendole lo “stand up” in modo che non possa più staccarsene da sola). La spoglio completamente, e la guardo fissa negli occhi, sibilando: “Adesso chiedi pietà e implorami di liberarti. Se lo farai, forse, ti porterò via con me e quello che ti farò resterà fra noi due. Ma se non lo fai, resterai qui, a disposizione di chi passa a Villa BDSM. Isolata da tutti, oltre che dalle corde, dalla barriera linguistica. Qui nessuno o quasi parla l’inglese!”

Gli occhi di Cerdita dardeggiano: non si piega affatto, anzi, continua a insultarmi da dietro al bavaglio. Non mi resta alternativa se non lasciarla qui. So bene che le corde le impediscono ogni movimento, ma anche che, se appena appena arriva qualcuno che si intende un poco di Real Restraints, ci mette quattro secondi a liberarla, legarla di nuovo e portarsela via, magari in qualche dungeon inaccessibile. Non manco di farglielo notare – ad alta voce, in modo che i presenti possano prender nota e approfittare della situazione. Di fatto, il primo che passa avrebbe a disposizione una schiava –  recalcitrante, è vero, ma vuoi mettere il piacere di domarla? Affido Cerdita a Cielo, perché provveda a offrirla alle cure di qualcuno che abbia voglia di divertirsi, e me ne vado a Stonehaven a tirare il fiato e chiacchierare con gli amici.

Quando torno a Villa BDSM qualche minuto più tardi, la mia delusione è enorme. A quanto pare, nemmeno uno dei visitatori ha saputo impadronirsi della preda che ho offerto loro su un piatto d’argento. Tutto quello che sanno fare è mettersi in fila davanti all’Infinito, tutti con in mano una frusta, e menare scudisciate una via l’altra, senza uno straccio di interazione scritta. Zero roleplay, zero fantasia, zero tutto: solo una serie di tristissimi e ripetitivi clic sulla povera Cerdita. La quale, più annoiata che spaventata, si è semplicemente estraniata dal gioco mettendosi “away“.

So che questo comportamento non è di tutti – Cielo e Gloria, ad esempio, mi sembra si diano un po’ più da fare per mantenere un minimo di interazione fra avatar. Però, guarda caso, sono sempre le sim italiane quelle in cui succedono cose come queste: chat pubblica intasata di messaggi sovrapposti, spesso urlati, tutti che salutano tutti, ridono ed esclamano sciocchezze a ripetizione rendendo impossibile una comunicazione che non sia in IM – e quel ch’è peggio lasciando l’apparenza dell’interazione e di gioco a script automatici che rispondono a ogni clic con qualche frase prestabilita. Possibile che sia una questione di nazionalità? Samy, Rossella, Belias sanno mantenere un alto livello di gioco, e sono tutte italianissime – ma forse non è un caso che le abbia conosciute tutte in sim di lingua inglese, nelle quali di fatto fingevano di non parlare l’italiano.

Dovevo scollegarmi, ormai, e sarei restata offline per qualche giorno. Ho liberato Cerdita da quel noioso passatempo, ma è una situazione puramente temporanea. Lei sostiene di non aver finito, con me, e so che è meglio che le creda. Ma io, con lei, non ho neppure incominciato e la prima volta che ci incontreremo faremo impallidire la sfida all’OK Corral.

Ah, e naturalmente adesso i miei capelli sono tornati al  colore abituale.

(Prossimamente: Win finisce in Gloria)

La vendetta di Cerditaultima modifica: 2008-05-05T13:45:00+02:00da winthorpe
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4 pensieri su “La vendetta di Cerdita

  1. Molto belle le tue storie con Cerdita, e sono d’accordo con te sulle scarse doti di RP o fantasia di molti “avatar italiani”, oltre che alle SIM italiane dedicate al BDSM, sempre ben accette, servirebbe anche qualcosaltro, non so, piu blog come il tuo, manuali sul tema, sul Roleplay, incontri, discussioni etc..Si potrebbero organizzare serate a tema, magari a Villa BDSM.
    Una curiosità, tecnicamente , il passaggio che riporto, come avviene?
    le corde sono tue o erano sue?
    “Dalle tasche estraggo un rotolo di corda e velocissima glielo avvolgo attorno ai polsi, legandoglieli strettamente dietro la schiena”

    Ciao
    Gianka

  2. Le corde sono, ovviamente, le sue. Le “shibari ropes” della Real Restraints, come tutti gli altri legami prodotti da Marine (e ai quali accenno nel post “Real Restraints”) devono essere indossati dalla vittima. Il bello è che, fino a quando non vengono legate da qualcuno, sono invisibili – si vede solo un anello di corda al polso o alla caviglia destra. Se ci clicchi ti compare il classico menu blu in alo a destra dello schermo, e tu puoi legare chi le indossa, e a quel punto le corde diventano visibile eccome, costringendo la vittima in una delle sei posizioni richiamate dallo script. Indossare legami di questo genere, sostanzialmente, corrisponde a esprimere nei confronti di altri la disponibilità a lasciarsi legare (soprattutto con le corde che, per definizione, NON hanno chiavi e quindi possono sempre essere manipolate dal primo che passa). In breve, quindi, il fatto che Cerdita indossasse le corde significava che era pronta ad essere legata dal primo che se ne accorgeva… e io, dopo averle dato un tempo più che sufficiente a ricatturarmi se lo avesse voluto davvero fare, ne ho approfittato. La frase che riporti è solo roleplaying, quindi. ;-)

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