I costruttori di mondi

Per chi sa costruire e per chi, come me, ha la fortuna di avere qualcuno che sa farlo per lei. Qualche minuto per ricordare come, dietro a qualsiasi atto creativo, ci sia una forma di amore per gli altri.

Il video qui sopra me l’ha fatto vedere New Vita su Facebook. L’ho trovato bellissimo e commovente. La prima persona a cui l’ho fatto vedere, ovviamente, è Jelena – la mia costruttrice, colei che, insieme ad Andromeda ha fatto crescere tutto intorno a me una casa, una prigione, una land.

Da quando ho la fortuna di avere Jelena e Andromeda non passa giorno senza che mi guardi allo specchio e mi ripeta quanto sia fortunata ad avere due sub così creative, talentose, vulcaniche. Ma non solo: Pene Seetan, tecnicamente, appartiene a Ol Quan, ma sono ormai molte settimane che passa gran parte del suo tempo a Winsconsin, dove ha realizzato – dopo il sistema di funzionamento delle porte della prigione – una serie di strumenti per gestire le liste dei prigionieri, l’accesso alle porte da parte delle guardie e, da qualche giorno (e ancora in fase sperimentale), perfino la sicurezza del posto, consentendoci ormai di escludere i visitatori non desiderati ed intensificare ulteriormente l’isolamento dei prigionieri.

winsconsin_007.jpgTutta Second Life nasce in questo modo, naturalmente. Dalla spinta di ciascuno a fare qualcosa nella misura delle sue capacità, del suo tempo e del suo talento. Come ripeto sempre a chi mi fa i complimenti per la prigione, “I can’t build a thing to save my life”, non saprei costruire qualcosa nemmeno se da questo dipendesse la mia vita. Ma mi piace scrivere, mi piace interagire con gli altri. E, come mi fanno notare Jelena e tante altre persone (fra cui Tomiko – a cui, a proposito, voglio mandare anche da qui le mie felicitazioni: ieri, dopo un periodo molto burrascoso, ha rinnovato il suo tormentato matrimonio con Monique con un nuovo, romanticissimo, matrimonio) anche questo è importante. Questo blog, che ha compiuto un anno qualche settimana fa, è il piccolo mondo che ho costruito io… e ne fanno parte tutte le persone che lo leggono, quelle che vi compaiono, la famiglia che ci si sta pian piano coagulando intorno e perfino l’uscita nelle librerie di Eudeamon.

Ho scritto che tutta Second Life nasce così, dall’iniziativa spontanea di chi vi abita, ma il discorso vale naturalmente anche per la nostra prima vita. Se, come avviene su Second Life, potessimo smettere di preoccuparci della sopravvivenza quotidiana, se fossimo davvero tutti liberi dal bisogno, molte più persone potrebbero permettersi di dedicare le loro energie a creare, a intrattenere, a regalare il loro talento agli altri e a collaborare nel modo migliore. Forse, dopotutto, la promessa del metaverso non è solo o non è tanto quella di poter volare o vivere nel mondo della fantasia – ma di poter vivere facendo solo quello che siamo davvero portati per fare.

Voglio dedicare questo piccolo film a Jelena e Andromeda, prima di tutto. Ma anche a tutte le persone che – di qua o di là dalla tastiera – sanno cercare in sé la spinta per donare l’esistenza a qualcosa che prima non c’era, che si tratti di oggetti o di parole, di persone o di interi mondi.

Chi ha paura dei banesuit?

Il fenomeno dei banesuit potrebbe diventare a breve una vera e propria moda, ma c’è chi scopre di non essere in grado di reggerne il rigore estremo. E in qualche caso non si tratta della prigioniera.

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Quando ho avuto la notizia che Marine mi aveva accettata come cavia per testare il banesuit mi trovavo nell’Arena di Aimee Riptide a compiere il mio terzo Bondage Ordeal (e a questo punto faccio una  promessa formale: entro la settimana provvedo a dedicare un post a questa faccenda, che vedo che continuo a parlarne en passant senza mai spiegare di che si tratta). L’arena si trova in una skybox sospesa a qualche centinaio di metri di altezza, per evitare intrusioni, ma la mia carissima Samy80 Owatatsumi era riuscita ugualmente a trovarmi e stava volteggiando in aria subito oltre il muro per tenermi compagnia mentre cercavo di liberarmi. Samy è una ragazza adorabile e passiamo insieme parecchio tempo, quindi mi era parso normale sentire cosa ne pensasse lei. Dopo tutto, sarei scomparsa dalla circolazione per un paio di giorni e non avrei avuto più modo di giocare con lei, di parlarle, anche solo di vederla.

Samy prende il gioco in modo molto positivo e spiritoso e mi ha detto che non c’era problema. Ma se hai letto Pasqua da Bane magari ricordi che Moss e Chriss hanno fatto fatica a sopportare di star lontane due giorni una dall’altra. E so per certo che Moss, prima, aveva chiesto il permesso a Chriss e che, anche se questa aveva detto che non c’era problema, Moss era preoccupata lo stesso. Chriss è una persona molto chiusa e non esprime troppo le sue emozioni.

e541dc2f781ba0dfdb1d55beb5805a4f.jpgE c’è chi la prende ancora peggio. Proprio Samy, ieri sera, stava ricevendo una serie di IM che la impegnavano parecchio: “C’è una tipa sconvolta perchè una sua amica si è messa in un bane e ha accumulato 5 giorni di sentenza”, mi ha detto, per poi riportarmene una frase che suonava così: “Che cavolo ci puo’ essere di cosi’ eccitante nel passare giorno dopo giorno praticamente morta?”.

Per chi, in qualche modo, ha consentito a diventare una bane, l’esperienza è sicuramente estrema e molto dura. Ma è frutto di una scelta, forzata o meno che sia. Una scelta almeno in parte consapevole di rinunciare per un tempo spesso non prevedibile a qualsiasi rapporto che non sia con l’Operatore: e quindi di rinunciare ai contatti, agli amici, alle chiacchiere, al gioco e a tutto quello che non sia vagare, come osservatrice, ai margini della società. Ma per chi ti vuole bene, questa rinuncia non è affatto frutto di scelta: potrebbe viverla come un abbandono, come un rifiuto o come una perdita irreparabile.

Un bane è una figura estremamente enigmatica: niente volto, corpo rivestito di lattice nero, muto e sordo al dialogo, in grado di comunicare solo in modo molto sommario… e, quando ti rendi conto che comunicare a gesti è una fatica esasperante, finisce che rinunci proprio a farlo, salvo nei casi di vera emergenza. Se un’amica diventa un bane, tentare di comunicare con lei diventa un esercizio in frustrazione che non hai scelto di subire e che può diventare esasperante. Perché la persona con cui vuoi parlare non ti sente, non ti risponde, cerca di allontanarsi quando tu ti avvicini, si nasconde. E magari cerca di spiarti da lontano senza farti vedere, per combattere un po’ la solitudine: io, Samy, lo confesso, un pochino l’ho seguita a distanza, per sentirmi meno sola ma cercando di non disturbarla… almeno finché qualcuno non mi si è avvicinato costringendomi a una precipitosa ritirata.

Divenire un bane è una scelta difficile soprattutto per chi non sa rinunciare alla nostra compagnia. E la frase dell’amica di Samy mi ha fatto riflettere a lungo. “Che cavolo ci puo’ essere di cosi’ eccitante nel passare giorno dopo giorno praticamente morta?”. E’ vero: essere un bane è, un poco, come essere morti e vagare sulla terra come un fantasma: passi fra la gente senza poterci interagire, e non è difficile immaginare che, se la moda si diffonderà ulteriormente, la gente finirà per ignorarti completamente. Tanto lo sapranno che non sei in grado di parlargli, e che cercherai di allontanarti. Esattamente come accade nel libro, in cui i bane diventano dei paria che tutti ignorano – almeno quando non arriva l’infame che invece si diverte ad aggredirli fidando nell’impunità.

ab87be3bdd0a467d62969f43bbe84819.jpgCi sto pensando ancora adesso. Perché se essere un bane è un po’ come vivere da morti, tutto sommato la similitudine la si potrebbe estendere anche a certe altre forme di bondage estremo, di isolamento. Chi si offre in tutto e per tutto a una Mistress che la prende, le blocca ogni comunicazione esterna, la lega, la chiude in una cella di mattoni e butta via la chiave… una persona come questa, che cosa cerca? Non è un caso di scuola: ho una carissima amica – forse qualcosa di molto più che un’amica – che ormai riesco a vedere meno di una volta al mese. Perché ha fatto una scelta del genere. Dovrò parlarti di Mystique Aeon.

E anche io, quando cerco guai non estemporanei, quando rischio tutto girando con le chiavi delle manette esposte in zone frequentate dai cacciatori di schiave, che cosa cerco? Quello che so è che a tutt’oggi mi è successo una sola volta di essere catturata da qualcuno e tenuta prigioniera in una cella per molti e molti giorni… e in quel periodo cercavo di dimenticare proprio Mystique, che si era donata a Jaron e che da allora non potevo più frequentare. Avevo il cuore spezzato, e ho cercato l’oblio nelle celle di Blackbear, dove sono rimasta forse dieci giorni. Come morta, isolata da tutti. Ho cercato l’oblio, e alla fine l’ho trovato. E se il mio cuore è tornato in grado di battere, ne sono certissima, lo devo anche a quell’esperienza.

Credimi, passare giorno dopo giorno praticamente morta non è particolarmente eccitante, non sulla lunga distanza. Ma ci sono momenti in cui scopri di averne bisogno come dell’aria che respiri quando non sei imbavagliata.

 

(Prossimamente: Mistress si nasce)

Guardandomi allo specchio

Avvertenza: gli appunti che compaiono qui sotto sono stati scritti da Win in un raro momento di solitudine nei giorni più duri della sua prigionia. Ne ha consentito la pubblicazione chiedendo di specificare, qui all’inizio, che a differenza delle pagine di diario pubblicate nei due post precedenti, e quelle che seguiranno, questi erano appunti destinati a restare strettamente OOC e, quindi, che per nessun motivo avrebbe passato in-world, nè a Francesca e famiglia in caso di perquisizione, nè a eventuali visitatori che potessero aiutare Win o lanciare l’allarme al WCF.

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Quarto giorno – 12 dicembre 2009

Oggi è il giorno dell’anniversario mio e di Jelena, e non posso celebrarlo con lei – prigioniera in-world di Francesca e dei suoi accoliti, e in RL del weekend, durante il quale non mi collego praticamente mai. Ma la mia situazione gravissima occupa quasi sempre una piccola parte dei miei pensieri in RL. Ero molto, molto turbata quando mi sono scollegata ieri. La sicurezza con cui Francesca mi raccontava di aver pianificato tutto, di avermi osservata a lungo, di essersi preparata a lungo per essere sicura di impadronirsi di me aveva qualcosa di ipnotico… mi faceva sentire come un coniglietto stretto nelle spire implacabili di un pitone, senza più nessuna speranza di salvezza. Una sensazione terrificante ma, lo confesso, anche profondamente eccitante: Francesca non aveva del tutto torto nel sostenere di essere una manifestazione di un mio desiderio – e la cosa che mi faceva venire le vertigini era rendermi conto di quanto, questo desiderio, fosse rimasto nascosto dentro di me per tutto questo tempo… Credevo che, nella nuova persona che sono diventata da quando conosco Andromeda, quella paura e desiderio del rapimento fosse ormai svanita – però, se dovevo dar retta alle sensazioni che provavo mentre Francesca assaporava il suo potere su di me, invece, forse era stata solo messa da parte.

rapitainizio_003.jpgPoi però, col passare delle ore in RL, le sensazioni sono cambiate, diventando più complesse. Mille scenari continuano a disegnarmisi nella mente. In questo periodo, Lorella, Lella, Andromeda e Jelena si collegano pochissimo, ma cosa succederà quando cominceranno a collegarsi di più? E i Bane di cui mi sto occupando? Come posso garantire loro l’assistenza necessaria? È vero che il contratto con la Kelley Tech prevede ampiamente che alcuni Operator non siano disponibili per situazioni come questa (dopo tutto, se siamo tutte state dei Bane, un motivo ci sarà pure!), ma cosa succederà quando mi troverò nella situazione di non poter rispondere a un richiamo di emergenza?

rapitainizio_008.jpgFino a questo momento sono stata, come si dice, più realista del re: poiché sono legata, in un luogo chiuso a chiave, ho scelto di non comunicare con nessuno al di là di chi mi dovesse avvicinare in-world. Per questo ho tolto a chiunque – sì, anche alle mie sub – la facoltà di vedermi sulla mappa. Anche quando mi sono trovata l’inventario accessibile, non ho inviato notecard. E anche quando, riloggando, ho scoperto che la bolla che mi teneva prigioniera non tornava a bloccarmi gli IM (palesemente un problema di SL o dello script, o di entrambi) non ne ho approfittato. Eppure, sempre più spesso, sono tormentata dal dubbio: se scopro a un certo punto che posso mandare IM, non mandarli significa essere prigioniera di Francesca o, ancora una volta, di me stessa? E se sono prigioniera di me stessa, allora, che gusto c’è?

rapitainizio_012.jpgPoi sono riuscita a collegarmi per qualche minuto. Francesca mi ha raggiunta quasi subito, raccontandomi ridendo che al WCF ci si chiede che fine abbia fatto… che l’indiziato principale è il famoso francese dei tentacoli (che, poverino, non ho invece mai più visto)… che Luana Umia ha giurato di vendicarmi. Nel frattempo, dallo spy del collare di Jelena ho saputo che anche lei, insieme a Franca, sta cercando di trovare un modo per rintracciarmi… su Facebook e nei commenti al blog (che consulto sempre, anche se non scriverò nulla su questa storia fino a quando non riuscirò a comunicare in qualche modo con l’esterno) ho visto che quel tesoro di Tomiko si è addirittura offerta come ostaggio in cambio della mia liberazione.

E ho capito, o creduto di capire due o tre cose. Una, che per seducente che possa essere, per brevi momenti, il soccombere alla tentazione di arrendermi all’evidenza, non credo proprio che succederà mai che mi sottometta a qualcuno, nè Francesca nè altri. Tengo troppo alle persone a cui voglio bene per accettare di restarne lontana, e la minaccia di Francesca di impadronirsi di loro, anche se non ci credo nemmeno per un momento, mi fa infuriare al punto che mi sento pronta ad accettare qualsiasi tormento pur di non piegarmi. Anche se, nel breve periodo che oggi ho potuto passare online, Francesca mi ha tolto il guinzaglio dalle manette (da cui, ogni giorno, tento di fuggire: e che non ci sia riuscita è solo una questione di occasione e di tempi) e me l’ha attaccato al collare (di cui, a causa di chissà che maledetto plugin, non riesco nemmeno a raggiungere la serratura).

rapita_001.jpgL’altra cosa che credo di cominciare a capire ha, invece, a che fare con quella che sono realmente. Tante persone mi vogliono bene e mi fanno grandi complimenti che in genere qui non riporto, ma sotto il cofano della Win che fa o cerca di fare sempre la cosa giusta ci sono le emozioni di un essere umano con lati per niente edificanti. Sono nelle mani di Francesca solo da quattro giorni e già comincio a sentire verso di lei, oltre alla soggezione per il potere che ha ormai sul mio destino, un odio che sta crescendo e in cui mi sembra di riconoscere alcuni sentimenti che provavo, nei confronti di Belias, verso la fine della nostra avventura insieme. Credevo che quei cattivi pensieri fossero dovuti alla gelosia – per Belias e per Costanza. Comincio a chiedermi se non fossero, invece, la reazione furiosa di qualcuno che sogna di essere fatta prigioniera senza doverlo chiedere ma poi, quando questo succede, invece di subire la famosa sindrome di Stoccolma, comincia a scaricare su chi ha realizzato la sua fantasia tutta la tensione che la costrizione comunque le impone.

Ai tempi di Belias sostenevo di non avere limiti, ma avevo scoperto di averne anche io. Come tutti. Solo che non voglio ammetterlo, forse per lasciare ai miei interlocutori la possibilità di spingermi oltre. Però questo scarica su di loro tutto il peso delle loro decisioni. A costo, come è accaduto per Belias, che davvero ha saputo farmi sognare, di rovinare il rapporto con qualcuno a cui vuoi bene proprio mentre le dai quello che, hai saputo capire, sotto sotto desidera.

Consideravo Francesca un’amica, ho cercato di starle vicina nel momento difficile della sua separazione da Moltotaku Jewell, ho seguito alcune sue vicende da vicino e con partecipazione… e so che tutto quello che sta succedendo è in ultima analisi una manifestazione di affetto sconfinato. Posso aggiungere anche che, anche se non lo avrei mai confessato, una situazione come quella che sto vivendo sarebbe stata, una settimana fa, una fantasia emozionante. Ma so che adesso, quando la vedo, quando stringe i legami che mi trattengono in casa sua, sempre più spesso l’emozione si mischia con la rabbia, il desiderio di vendetta molto più che quello di fuga. Sento i primi sintomi di quella sensazione che mi portava, alla fine, a fare tutto quello che potevo per ferire Belias più profondamente possibile.

prigionierasecondogiorno3_002.jpgNell’ultimo anno, tante volte ho pensato che chi mi frequentava e non approfittava del mio relay sempre aperto fosse privo di spina dorsale. Adesso che qualcuno l’ha fatto, scopro di nuovo in me alcuni di quei Bad Feelings che credevo di aver sepolto per sempre. E mi comincio a chiedere se quella che, all’epoca in cui nessuno osava mettermi le mani addosso, giudicavo il frutto mediocre di una malcelata soggezione nei miei confronti, non fosse in realtà l’istinto di chi aveva già capito che Win, sotto sotto, ha un carattere impossibile.

((Non pubblicherò queste parole scritte a caldo fino a quando questa storia non si sarà chiusa in qualche modo, naturalmente. Nemmeno se e quando sarò riuscita a far sapere a qualcuno dove mi trovo e chi mi tiene sotto chiave.))

 

Aggiunta a queste note prima di pubblicarle: avrei tante cose da dire in proposito e forse troverò le parole per dirle in futuro, ma qualcosa voglio buttarla giù qui. Rileggendo queste ultime righe ripenso a Mystique, che sognava una schiavitù permanente ma alla fine fuggiva sempre barando. E ripenso a me, che non baravo mai ma, proprio per questo, mi caricavo di un’energia negativa terribile, verso Jaron, verso Belias, e prima ancora verso Blackbear Babii, la mia primissima Mistress, nelle cui braccia mi ero gettata dopo che Mystique si era donata a Jaron. Lo so, voglio la classica botte piena con moglie ubriaca: essere rapita in modo serio ed efficace, senza via di scampo, senza poter barare, eppure restare libera – ma senza chiedere a nessuno di rapirmi e senza chiedere a nessuno di liberarmi. Impossibile, semplicemente. Nello scrivere le parole qui sopra, cominciavo a capire che da questa storia non avrei potuto uscire senza chiedere a Francesca di liberarmi – il che implicava guardarmi allo specchio e riconoscere, una volta per tutte, che di limiti io ne ho eccome e che sarebbe ora che invece di scaricarne il peso sugli altri mi decidessi ad affrontarli. Però ho deciso, come si legge nel brano fra parentesi che precede questo paragrafo, di reggere il gioco finché potevo farlo, per vedere se trovavo una onorevole via di uscita mediante RP che, in buona sostanza, mi fornisse un alibi per rinviare ancora una volta la necessità di dire, una buona volta, che diavolo volevo. Pronta, prima che i cattivi sentimenti che la mia carissima, affettuosa, talentuosa e audacissima rapitrice Francesca Miles sicuramente non si stava meritando, potessero cominciare davvero a compromettere il nostro rapporto, prima di tutto, e anche il piacere che anche lei e i membri della sua famiglia stavano traendo da questa avventura.