Partire è un po’ morire

Fra 24 ore sarò di nuovo su un aereo, stavolta per andare a passare due settimane di vacanza. E allora perché mi sento tutte queste farfalle nello stomaco?

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È una giornata lenta, oggi, in ufficio. A Roma, il 29 giugno è vacanza e molti colleghi sono via per il ponte. E io stessa sono sul piede di partenza. Domani mi aspetta un aereo che mi porterà, finalmente, in vacanza. Non tornerò online fino al 14 luglio e mi resta ancora oggi per finire le ultime faccende, chiudere una valigia leggerissima e salutare tutti.
La cosa curiosa è che sto cercando di salutare con più cura le persone che conosco su Second Life di quelle reali. Di partire mi capita ormai abbastanza spesso, e ancora più spesso mi succede di non sentire per giorni, settimane e anche mesi persone a cui sono vicina nella vita reale: eppure non mi viene da fare tutte queste telefonate in giro, nemmeno stessi partendo emigrante per un altro continente. Invece, stamattina, sto facendo tutto quel che posso per non lasciare cose in sospeso: vedere per un momento Andromeda, Jelena, Lorella, Lella (non Frough, ma solo perché si sta prendendo una vacanza da Second Life per motivi che un giorno forse potremo raccontare), aggiornare il mio profilo segnalando che non ci sarò per qualche tempo, capire se ci sono questioni in sospeso da affrontare prima di andare offline per quindici giorni.
malesophii_001.jpgMi sono fatta qualche domanda e credo che quest’ansia di avvertire abbia a che fare con la fragilità estrema dei nostri rapporti virtuali. Abbiamo spesso parlato del fatto che su Second Life quando fai log off cessi letteralmente di esistere, e che quindi ogni volta che spegnamo il programma è come se consapevolmente scegliessimo lo shakespeariano non essere… ma in questo caso il punto è il non essere per qualcuno, il terrore di sparire, di lasciare qualche persona sospesa nell’incertezza di dove sei sparita… Esisti ancora? Tornerai online? Quando?
makingof.jpgIn questi giorni sto leggendo un libro interessante sulla nascita del nostro metaverso preferito. Si intitola “The Making of Second Life” ed è scritto da un giornalista che ha seguito i lavori alla Linden Lab fin dall’inizio, dapprima come incaricato degli stessi Linden e poi come blogger specializzato nei mondi virtuali… e una delle cose che mi ha colpita di più fra quello che scrive l’autore è l’importanza che ha, in questo mondo fatto di pixel, la continuità. Su Second Life chiunque può essere bello, giovane e sexy, perché basta comprare gli accessori giusti… ma quello che differenzia le persone è da un lato la capacità creativa (i builder, gli scripter, i designer) oppure la costanza con cui si è rintracciabili online. Con cui, appunto, si esiste. Perché è inevitabile: in un mondo in cui si scompare da un secondo all’altro, in cui non c’è differenza fra quando cade la connessione o manca la luce e quando si fa “quit”, si cerca tutto quello che ci offre almeno un’illusione di stabilità. Si tratti di luoghi oppure, soprattutto, di persone.
Per me, in questo periodo, partire è più difficile perché gli impegni di lavoro mi hanno tenuta a lungo lontana da Second Life e dalle persone a cui tengo – persone a cui, in qualche caso, sono più attaccata che a molte mie conoscenze nella vita reale. Persone che mi piace pensare abbiano bisogno di me quanto io ne ho di loro e che, anche se sanno bene che tutto questo è solo un gioco, sentiranno la mia mancanza.
E quindi, questo post è per salutare e per avvertire chi è interessato a saperlo: parto domani. Anche senza esistere, so che vi penserò, quando prenderò il sole su un’isoletta spartana (uhm… in realtà tecnicamente sarebbe più ateniese… ma, vabbe’, intendevo un’altra cosa) dove so che Internet non arriva manco a piangere in greco. Ma il 14 luglio ritorno e spero, finalmente, di poter recuperare un po’ di tempo virtuale perduto.
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La vita, la morte, gli avatar

Pochissime, veloci, considerazioni, sul film che tutti stanno andando a vedere e su un altro film che è nelle sale in questi giorni.

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Potevo non andare anche io a vedere Avatar? In genere, la fantascienza che piace a me è quella un po’ più concettuale, che usa il fantastico per parlare di quello che siamo nella realtà. Tendo a diffidare, invece, del fantasy di pura evasione, dei mondi fatati, dei troppi colori, e sapevo che il nuovo film di James Cameron proponeva soprattutto questo. Eppure, beh, Cameron è lo stesso che, nel primo Terminator, è riuscito a rivedere in modo originale il complesso di Edipo… e che in The Abyss ha creato una scena per me bellissima in cui un personaggio, per poter sopravvivere, deve accettare di morire, sia pur temporaneamente, per annegamento. Insomma, non certo un Ingmar Bergman, ma nemmeno un cialtrone che bada solo agli effetti speciali.

valentinavatar_001.jpgIn questo caso, avevo abbassato comunque le mie aspettative: quando si ha in mano un film costato quasi 300 milioni di dollari, è molto improbabile che si tenti qualcosa di tematicamente innovativo. Sono entrata in sala pronta ad accontentarmi di un’esperienza sensoriale e visiva, a godermi lo spettacolo del 3D e a lasciarmi andare a una storia che, me lo dicevano tutti, non andava molto oltre un incrocio fra “Pocahontas” e “Balla coi lupi”. Però però…

…beh, il film, dopotutto, si chiamava “Avatar” e mi era impossibile andare a vederlo senza pensare al fatto che, come tutte le persone che frequento su Second Life, io sono esattamente quello: un avatar, una rappresentazione, un simbolo, un personaggio che è al tempo stesso me stessa e qualcosa di diverso. Qualcosa (o qualcuno) che io vedo in terza persona (salvo quando qualcuno mi costringe alla visione soggettiva del mouselook, eheheh) pur vivendoci in prima persona. Qualcosa di strano e inquietante, che è diventato a suo modo realtà solo da quando internet ha reso possibile la costruzione di metaversi affini a quello teorizzato dal buon Neal Stephenson. Il 15 gennaio, il giorno in cui “Avatar” usciva nel nostro paese, era esattamente due giorni prima del mio terzo “rez day” (a proposito: grazie di cuore a tutte le persone che, in-world o su Facebook, mi hanno fatto gli auguri. Io stessa non mi sarei nemmeno accorta della data se tramite lo SPY non avessi sentito Lella che ne parlava con Nightwish!) e quindi potrei dire di essermelo offerto anche come una sorta di regalo di compleanno.

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Dico subito che mi sono divertita, ma non sono qui per fare una recensione: mi interessa invece annotare quello che mi sembra possa riguardare la nostra vita di abitanti di Second Life. Che il tema del film non fosse quello degli avatar come li intendiamo noi lo sapevo fin dal principio – ne avevo avuto conferma anche da un’intervista a Cameron che Frough Spad aveva postato su Facebook lo scorso 18 dicembre. Eppure “Avatar” ha almeno un paio di momenti interessanti anche dal nostro punto di vista – momenti in cui si può intuire la complessità di un tema che Cameron si limita appena a sfiorare.

Immagine 1.pngMolto molto in breve, il film racconta di un marine che viene inviato in missione sul remoto pianeta di Pandora. Per consentirgli di mescolarsi ai Navi’i – un popolo di altissimi umanoidi blu – gli viene fornito un corpo identico a quello degli indigeni, un corpo che si può controllare a distanza tramite una sorta di loculo munito di sensori. Siamo, come si vede, in una situazione che corrisponde in pieno alla definizione di umanità accresciuta di cui abbiamo più volte parlato: tanto più che il protagonista è paraplegico e che, di conseguenza, la sua second life in un fiammante nuovo corpo blu gli offre anche l’occasione di non dipendere più da una sedia a rotelle. Ed ecco subito un primo riferimento molto forte a ciò che Second Life significa per tante persone: un luogo dove recuperare qualcosa che si è perduto (che sia la giovinezza o il controllo sul proprio corpo) o che non si è mai potuto avere nella vita reale (volare, oppure vivere fantasie potenzialmente rischiose… come le nostre).

Immagine 2.pngSolo che questa conquista di nuovi poteri è condizionata dal vincolo fra, diciamo, agente reale e avatar. Poiché su Second Life siamo solo pixel, quando questo nesso viene a cadere il nostro avatar si dissolve nel nulla passando immediatamente alla non esistenza. Nel film, invece, l’avatar è un corpo fisico e pertanto continua a esistere anche quando l’agente reale ne abbandona il controllo: e infatti. di regola, questo distacco avviene normalmente solo dopo che l’avatar si è coricato per dormire. Quando, in un paio di scene, il protagonista viene costretto a uscire dal suo loculo di controllo nel pieno di un’azione, il suo avatar si affloscia esanime a terra – e lì rimane come un corpo morto, almeno fino a quando la connessione non viene ristabilita.

Insomma, il rapporto fra gli avatar di “Avatar” e i loro agenti assomiglia molto a quello che intercorre fra il nostro pensiero (la nostra anima, o come vogliamo chiamarla) e il nostro corpo fisico. Quando ci addormentiamo, il corpo resta lì ad aspettare il ritorno dello stato di veglia… e al momento della nostra morte, almeno per un po’ di tempo, la nostra spoglia mortale resterà sulla Terra come testimonianza del nostro passaggio. Su Second Life, al contrario, scompariamo nel nulla nell’istante stesso in cui, facendo logoff, togliamo all’avatar la coscienza di esistere . Chissà che non sia proprio questa la chiave che spiega il perché, a volte, ci scopriamo a restare online per ore e ore anche quando, magari, non ci sta succedendo nulla di particolarmente appassionante? Restare connessi, nonostante la noia, per il semplice piacere di continuare ad esistere anche nel metaverso. Perché fin tanto che esisti tutto è ancora possibile.

Immagine 4.pngQuesta considerazione si ricollega all’altro film che ho visto in questo fine settimana: si intitola “A single man” ed è interpretato da Colin Firth, un attore che trovo bellissimo e che è anche straordinariamente bravo. Attenzione, se non lo avete ancora visto, perché di questo film rivelerò il finale nelle prossime righe. È la storia di un uomo che, dopo la morte della persona che amava più di ogni altra cosa al mondo, ha deciso di suicidarsi: solo che la vita, le persone che gli stanno attorno, il caso, hanno ancora qualcosa da offrirgli… momenti di calore che irrompono a sprazzi nel gelo che ormai lo circonda. Il regista Tom Ford esprime questi momenti in modo visivo: ci sono sorrisi, frasi, situazioni in cui l’immagine diventa, letteralmente, più calda nei momenti in cui il cuore del protagonista viene toccato da qualche emozione. Alla fine del film, il desiderio di vivere di Colin Firth vince sul suo proposito suicida; solo che, proprio in quel momento, un infarto improvviso se lo porta via. Eppure non si tratta di un finale triste, perché il protagonista, se mi permettete il bisticcio, muore vivendo – e non rinunciando alla vita. Visto che, prima o poi, tutti dobbiamo andarcene, quello che conta è, come sempre, il percorso, e c’è una certa differenza fra scegliere di anticipare la fine del viaggio e arrivarci mentre si sta tentando di goderselo.

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Immagine 3.pngMa voglio tornare ad “Avatar” per un’ultima considerazione che rubo di peso dal profilo Facebook di uno dei miei contatti (e che mi sono già rivenduta in un commento a un altro articolo sul film apparso su SLLN.it): “(…) Per gli amanti di Sl, la chiara conferma che non si può vivere a scavalco di due mondi, occorre scegliere, altrimenti si sta male e si diventa inevitabilmente traditori. Il protagonista, accortosi di essere diventato traditore ha scelto. Era inevitabile….“. Ecco, mi pare un’analisi molto lucida di quello che prova chi vive la sua Second Life con trasporto: una vaga sensazione di disagio, quasi che, mentre si sta nel metaverso, si tradisse tutta la propria vita reale – ma anche la sensazione opposta, di quando si abbandona online qualche avatar che pensiamo abbia bisogno di noi.

Davvero non è possibile vivere con l’anima in due mondi? O è solo un difficile esercizio di equilibrio col quale, via via che il concetto di metaverso si diffonde, faremmo bene a familiarizzarci?

[AGGIUNTA 24 ORE DOPO: Ci tengo a segnalare, in coda a queste riflessioni, una vera e propria risposta dedicatami da Alessia Greggan in un suo blog interessantissimo che sto, pian piano, leggendomi tutto con attenzione. Il suo post si intitola Dedicato a Win: prigioniera come me di Second Life, ma veramente consiglio di affrontare il suo blog partendo dai post più vecchi e risalendo fino a quelli più recenti. Ne vale la pena, davvero, perché contiene una marea di considerazioni molto sentite su ciò che significa vivere nel metaverso – e anche per scoprire lungo la strada come mai sia stato, in tempi recenti, quasi abbandonato…]

A Francesca Miles

Più o meno 24 ore dopo aver avuto l’ordine di scriverla, ecco il prodotto di qualche ora di insonnia ma, soprattutto, di emozioni molto forti vissute solo in parte a causa di una RL sempre, inevitabilmente, tiranna. Dei versi artificiosi, forse, ma completamente sinceri in quello che cercano di comunicare. E che sono stati consegnati a Chiara Haalan durante una connessione molto fugace, dall’ufficio, mentre fuori dalla casa di Moordon in cui Win era tenuta prigioniera si erano da qualche ora asserragliate forze d’attacco del WCF pronte a scatenare l’inferno.


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A Francesca

 

Ti ho vista, ti ho acchiappata, ti ho tenuta
per qualche ora, forse neanche un giorno
e fosti come mia, legata, muta,
capelli e fiore rossi, mentre attorno
avevo dolci amiche, prigionieri,
turisti, s’una spiaggia ch’era un forno,
e Lella, senza i suoi stivali neri.

 

***Francescaaitempi.jpg francescaitempi2FB.jpg francescaitempiFB.jpgfralegataaitempiFB.jpg

Molt’acqua è poi passata sotto al ponte
che gli oggi nostri ognora muta in ieri
fin quando ognuna, sola, su Acheronte,
debba salpar. Ma delle nostre strade
da allora si incrociarono le impronte.
Se Fato le occasioni facea rade
la Volontà era pronta a rimediare.
Non ci fu, forse, mulinar di spade
a fianco una dell’altra, ma più care
d’ogni avventura sono certe storie
che solo il metaverso può ospitare.

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Per chi non sa, null’altro son che scorie
quei giochi nostri di manette e celle,
e di sconfitte dolci, e ambigue glorie,
e corde, e il lattice come seconda pelle.
Per noi quel mondo, che talun spaura
è forte sì da renderci sorelle,
amiche, amanti: ché non c’è tortura
peggior di soffocare nella culla
le proprie fantasie. Ah! Com’è dura
la sorte di una povera fanciulla
che se si pensa presa e prigioniera
sente il cuor suo che all’impazzata rulla.

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Francesca, lo sapevi, e l’altra sera,
venuta ad abbracciarmi alla prigione,
scattasti con l’audacia di una fiera
cogliendo (anzi creando) l’occasione.
In ceppi mi hai costretta in pochi istanti,
travolta di sorpresa e d’emozione,
sì che da pochi son poi stati tanti
gli attimi che ho rubato a quella notte.

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Tu, Chiara e Travestroia, le Baccanti,
con DoctorLover, François la mascotte,
non mi avete lasciato alcuno scampo,
avvinta come certe galeotte.
haalan4.jpgSol che ci pensi tutta in viso avvampo
non tanto perché nuda tu mi hai esposta
nel tuo salotto. No! Perché in un lampo
sapesti ritrovar sotto la crosta
la Win che china il capo in soggezione.
Tu mi parlavi, e lo facevi apposta,
come le spire avvolge un gran pitone
attorno al coniglietto ipnotizzato
di cui si sta per fare un sol boccone.
Fui tua, sospesa al minimo tuo fiato,
fin quando fui connessa, ed anche dopo,
col mio pensiero ch’era imprigionato
da un gatto che giocava con un topo.
Legata, priva ancor della favella,
spogliata di un futuro e di uno scopo
che non ti contemplasse, proprio in quella
sentii una nuova forza nella schiena.

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Dei volti. Nomi. Sussultai. “Frough! Lella!”
E ancor: “Lorella! Andromeda! Jelèna!”
Lo so: la vita vera ci è di freno
in questi tempi, ché per tutte è piena,
ma non per questo può venire meno
l’amor con cui codesti miei gioielli
coloran la mia vita arcobaleno.

Lellanitenite.pngandrotentacoli_004.pngaggiornamento_001.jpg bee_003.jpg

Francesca, tu puoi farmi anche a brandelli,
tenermi al tuo guinzaglio come i cani,
mi puoi stringere il cuore od i capelli,
negarmi ancora l’uso delle mani…
ma adesso so per certo: sottomessa
tu non mi avrai nè oggi nè domani.
Più facile sarebbe farmi lessa,
perché color di cui tengo la chiave
mi rendono più forte di me stessa.

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Io non mi piegherò, Francesca. Cave!
Dirtelo voglio grata, e con dolcezza,
ma intendo andare con la prima nave.
Flettermi non potrai: sol mi si spezza
se troppo vien tirata la catena.
Ma allor gaudio e emozione alla tristezza,
all’odio ed al rancor lascian la scena.
Sei pronta pure a ciò? Come in un fuoco
tu puoi bruciarmi tale e qual falena
ma l’esito finale di quel giuoco
sarebbe devastante, e molto amara
la vita mi farebbe. Qui t’invoco:
quello ch’è rotto più non si ripara
e d’uopo e che qui te ne faccia accorta
con questi versi che mi ha chiesto Chiara.

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Francesca Miles: vuoi tu vedermi morta?
Spero e credo di no ma se sì fosse
non hai che da tener chiusa la porta
e stringermi il collar senza più mosse.
Io sento la distanza delle amiche
che sono mie. Lo dico a gote rosse
ma a fronte alta: tutte le fatiche
per prendermi fra le tue damigelle
non otterran l’alloro della Nike.
Giammai potrò scordar quell’ore belle
in cui mi desti ciò cui in parte anelo.
Ma ora lasciami andar, verso le stelle
che, pur di pixel, brillano nel cielo.

Win

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Lezione di umiltà

Qualche vecchia notecard polverosa, ritrovata sul fondo dell’inventario, rende necessario un piccolo mea culpa su un episodio marginale di qualche settimana fa.

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Stavo ripulendo l’inventario, stamattina, quando ho ritrovato due vecchie notecard di tanto tempo fa. Mi piace rituffarmi nel passato, ogni tanto, e le ho rilette con curiosità per la Win di oltre un anno fa… ai tempi in cui ero innamorata cotta di Mystique ma, incapace di darle il controllo di cui aveva bisogno, le ronzavo attorno soffrendo ogni volta che qualcun altro la isolava impedendomi di vederla… e nel frattempo mi mettevo nei guai a mia volta. Anche a causa di un certo integralismo. Ecco la prima, datata del 2008-01-22 23:14:29, in cui rispondevo alla mia amica dopo aver ignorato a bella posta alcuni suoi IM:

Cara Mystique, mi spiace se non posso rispondere ai tuoi IM… Prima ho crashato e mi ci è voluto un po’ a tornare online. Al momento sto cercando di sfuggire a un tizio che ieri mi ha legata e che intende violentarmi. Non mi piace affatto l’idea, ma la mia decisione di non barare continua a restare salda nonostante questo. Spero, prima che torni online, che riuscirò a liberarmi dalle corde con cui mi ha assicurata a un palo. Sentiti libera di parlarmi, ma perdonami se non ti rispondo… perfino spedirti questa nota mi sembra un po’ come barare. Mi rendo conto di quanto la cosa debba sembrarti cretina, ma bisogna che ne esca in modo legittimo, come ho fatto con quelle manette con la configurazione 4.4.0. Vorrei essere vicina a te, spero che lo sarò presto. Adesso ti spedirò questo messaggio per vedere se ci riesco… ma anche se funzionerà non scriverò altro fino a quando non riuscirò a uscire da questa situazione… in qualche modo. Baci,
Win

lezioni di scripting_002.jpgIl problema della definizione di un RP legittimo impegnava all’epoca gran parte delle mie discussioni con Mystique. L’avevo vista uscire dalle celle con dei sit-TP (ossia, per chi non lo sa, il sedersi su oggetti fuori dalla cella, approfittando delle possibilità offerte da Second Life, in modo da fuggire), passare attraverso porte chiuse e anche togliersi manette chiuse a chiave da persone che non le piacevano. Senza giudicarla, mi rendevo conto che per me questo era impensabile, perché avrebbe distrutto completamente l’illusione dell’impotenza che tanto mi eccitava… e mi facevo – mi faccio ancora – un punto d’onore di non barare mai, per nessun motivo… ed usare solo ed esclusivamente il Restrained Life Viewer per essere sicura che non accadesse per sbaglio.

Un anno e mezzo fa non era ancora possibile bloccare gli IM, e certamente non era ancora possibile impedire a un prigioniero di scrivere e spedire una notecard. Eppure, mi sembravano entrambi modi poco legittimi per comunicare, dato che mi consentivano di chiedere aiuto. Per questo, mettermi a scambiare IM con la mia amica mi pareva inappropriato alla situazione in cui mi trovavo: avevo scritto la lettera lì sopra solo per evitare di turbare Mystique, che non capiva perché non le rispondessi e, essendo a sua volta prigioniera chissà dove, non poteva certo raggiungermi.

24 ore dopo, tuttavia, mi trovavo ancora in guai grossi… con un’altra amica, Alison Balut, che mi scriveva messaggi sempre più allarmati chiedendo se avessi bisogno di aiuto. E scrissi un’altra lettera, stavolta più articolata.

23 gennaio

Cara Alison, in effetti sono nei guai…

Un certo Duncan Oliver mi ha rapita, a Stonehaven, 2 giorni fa. Mi ha portata in un posto chiamato Roper’s Playground per abusare di me… abbiamo perso del tempo per certi problemi di rezzing, così alla fine mi ha lasciata legata a un guinzaglio con l’intenzione di tornare il giorno dopo per riprendere il RP.

Ieri sono rimasta online per un po’ mentre lui non c’era… così mi sono dibattuta nelle corde e sono riuscita ad allentarle parecchio. Sono andata offline proprio metre lui si ricollegava (ma ha scritto in IM che ha fatto appena a tempo a vedermi prima che io svanissi).

Solo oggi sono riuscita a tornare online e ho continuato a lottare contro i nodi… finché è arrivata una ragazza che non conoscevo, ha finito di slegarmi e immediatamente mi ha legata di nuovo. Mi ha appesa in una posizione molto pericolosa, in punta dei piedi su un’asse e con un cappio al collo, dicendo che mi lasciava lì per il suo padrone, che è anche proprietario della land. A quanto pare, ha l’abitudine di collarare di forza e tatuare tutte le ragazze che trova qui. Per fortuna, non è ancora online.

È da un pezzo che combatto con le corde, ma ho esaurito le forze… il bavaglio (chiuso da Duncan) sono quasi riuscita a togliermelo, perché non è mai tornato a richiudermelo… le corde, però, sono ancora molto strette.

Vedo che mentre ti scrivevo questa nota sei andata offline… Non so se e quando tornerai ma se trovassi il tempo per venire a tirarmi fuori te ne sarei grata. Dovresti poter riuscire a slegarmi almeno le corde, così posso togliermi il guinzaglio e almeno liberarmi dal rischio di scivolare da quest’asse e impiccarmi da sola…

Dovresti essere in grado di vedermi sulla mappa, Alison. Ti prego, aiutami, sei la mia unica speranza.

(Tutto quello che precede, Alison, è da intendersi come RP… se hai di meglio da fare, non sentirti obbligata di venire a salvarmi… ma questo sembra un posto mica male per mettersi in guai seri)

Win

androstone.jpgandrostone2.jpgandrostone3.jpgMi viene da sorridere a rileggere quella lettera. La nota finale per evitare che Alison si sconvolgesse troppo, quel desiderio-paura di finire in guai degni di nota… e la voglia di essere salvata per non essere costretta a subire uno stupro – ma anche la consapevolezza di volere, qualora quel Duncan fosse arrivato in tempo a riacchiapparmi, seguire il mio destino fino in fondo nonostante tutto… Perché la scelta di non barare mai – e, per me, anche di non usare una safeword – era e rimane fondamentale, su Second Life, per diversi motivi.

Il primo è, ovviamente, che nel metaverso siamo comunque protetti. Nessuno può, fisicamente, farci nulla nel mondo reale… e per me Second Life ha senso proprio perché mi consente di provare sensazioni che nella realtà non posso e nemmeno desidero provare. Una di queste è il senso di minaccia, di essere preda di qualcuno e di non poter reagire in alcun modo. È una sensazione che cercano in molti… ma molti pongono anche mille limitazioni, scrivendo nel profilo cose del tipo: “Legami pure, ma non tenermi più di mezz’ora”, oppure “non sopporto il mouselook, o essere bendata, o non poter parlare, o subire questo o quello”.

Io questo non lo chiamo perdere il controllo: lo chiamo dettare la scena, o, in certi casi limite, topping from the bottom (vale a dire fingere una posizione sottomessa che in realtà cela il desiderio di controllare tutto ciò che accade). Visto che mi trovo in un mondo di finzione, almeno qui voglio potermi lasciare andare all’avventura in modo totale. E questo significa, appunto, non avere diritto di scelta. La realtà non ha safeword e quando ti succede qualcosa di imprevisto non puoi spegnere e aspettare che il pericolo si trovi offline, oppure, come quando eravamo piccoli, alzare le mani e dire “pace! pace!” e sperare che il problema si volatilizzi. Poche cose danno una sensazione di realtà come essere disposta ad affrontare qualsiasi situazione – e magari fare il possibile per uscirne senza mai ricorrere a parole d’ordine o a conversazioni fuori personaggio… a costo di passare ore a discutere come ai tempi della famosa diatriba di Pandora.

E poi c’è un’altra considerazione: così come fuggire via da una situazione sgradevole barando, anche interrompere una scena, invocando la safeword o pretendendo che l’interlocutore si studi bene tutti i suoi limiti, corrisponde a violare il diritto al gioco di quella persona… che in ogni caso, ti piaccia o no, ti sta dedicando del tempo togliendolo a qualcun altro. Chi è nuovo sa bene (e chi è stato nuovo ricorderà) che per farsi prendere sul serio e trovare persone con cui giocare in modo un po’ più che estemporaneo ci vuole tempo e pazienza. Ma io credo che sia importantissimo anche dimostrare una disponibilità quasi assoluta a rispettare il tempo che gli altri ci stanno dedicando. E, perciò, saper stare al gioco.

Androstandard.jpgÈ per questo che la mia intepretazione del concetto di “cheat” è esagerata, estremista, talebana. È per questo che uso pochissimo le Real Key dei legami di Marine Kelley, è per questo che rifiuto di giocare con chi non usa il Restrained Life, è per questo che ai famosi tempi dello scontro fra Belias e Jaron per il possesso delle mie chiavi, dopo aver barato tornai a capo chino da Jaron pur rendendomi conto di quanto questo avrebbe fatto soffrire Belias (o forse anche sapendolo, dato che in quel momento ero un grumo di emozioni contrastanti e, lo riconosco oggi come lo riconoscevo allora, una parte di me desiderava farle male). È per questo che oggi, a differenza di un anno fa, se finisco nei guai non chiedo più aiuto, pur sperando che qualcuno mi venga a salvare (appena un mese fa Jelena mi ha salvata in extremis dalle attenzioni sgradite di un cane che mi aveva trovata presa in una trappola in una land che non conoscevo… e che si stava rivelando molto meno discreto di quel bricconcello di Teck Paine)… è per questo che Andromeda si è fatta dieci giorni lontana da me alla RR Prison. E, infine, che a tutti i prigionieri del WCF togliamo immediatamente gli IM e, di norma, anche le notecard. Perché l’esperienza sia vera e perché nessuno debba rimpiangere il tempo che le ha dedicato.

frough2.jpgEppure, qualsiasi regola deve avere la sua eccezione e devo confessare, qualche giorno fa, di aver fatto qualcosa di peggio che barare. Ho accettato, anzi, guardiamo in faccia la realtà, ho praticamente costretto un’amica a farlo… per superare un mio errore. Mi trovavo con Frough Spad  ad esplorare Enslaved, una sim segnalatami da Samy80 e in cui non conosco quasi nessuno – il che, speravo, mi avrebbe forse consentito di essere solo una possibile preda (o predatrice) tra la folla, e non la reginetta sul piedistallo del Winsconsin Correctional Facility. In realtà c’ero andata da sola, ma Frough, ricomparsa dopo molti mesi di assenza, mi aveva raggiunta trovandomi sulla mappa. Frough è in genere una Mistress (qui accanto una foto di una volta in cui sperimentava su di me i poteri del RLV)  ma da qualche tempo la scopro sempre più spesso a sperimentare il suo lato più sottomesso. Stavamo curiosando in giro, quando, per vedere come funzionasse una certa gabbia, l’ho costretta, tramite il Force Sit del suo Steel Collar, a sedersi in una scatola di vetro, le ho settato il timer a 70 ore online e poi, cliccando un certo pulsante di cui non mi era chiaro il significato, ho disattivato qualsiasi comando.

Quando me ne sono resa conto, era ormai troppo tardi: la gabbia era inattaccabile, e mi impediva di toccare il collare che inibiva alla mia amica la possibilità di alzarsi. Nessuna interazione era più possibile fra noi, se si eccettuava la chiacchiera. E con settanta ore da scontare, dati i ritmi con cui Frough si collega, non ne sarebbe uscita fino a questo autunno. Di fatto, lasciarla lì dentro non era molto diverso da ucciderle l’avatar, condannandola a ore e ore E ORE di inattività. Le ho provate tutte: niente TP, niente altro. Mi sono sentita sprofondare. Frough mi ha guardata timidamente, mentre avvampavo di vergogna. E ho capito che dovevo affrontare il problema togliendole il peso di dover fare una scelta sgradevole. Mi sono schiarita la voce e, prendendola un po’ vigliaccamente alla lontana, le ho detto: “Beh… ti dirò… dato che NON avevo alcuna intenzione di lasciarti qui bloccata per 72 ore, se volessi “barare”, potresti farlo col mio permesso”.

frougheudeamon.jpgHo fatto una smorfia: stavo ancora rifuggendo dalla mia responsabilità, scaricando su Frough il peso di una decisione che dovevo prendere io. Ho ripreso a parlare: “La verità”, ho aggiunto, “è che, devo andare a letto fra poco e questa situazione è molto al di là di quello che avevo pianificato”. Frough ha sorriso, ha capito, ma io sapevo di dover andare fino in fondo. E alla fine gliel’ho chiesto. Le ho chiesto, per favore, di rientrare col viewer normale… perché potessi liberarla e andare a letto senza il senso di colpa di averle rovinato la serata.

È uscita. È rientrata. Poi siamo rimaste un po’ a guardarci le punte dei piedi, in silenzio. È stata lei a ricominciare a parlare.

[2009/05/06 15:28]  Frough Spad: Una cosa piuttosto imbarazzante per entrambe.
[2009/05/06 15:29]  Win: La considero una sconfitta personale, Frough. Per me, non per te
[2009/05/06 15:29]  Frough Spad: Beh, entrambe. Dovremmo avere abbastanza esperienza per avere una idea di quello che facciamo.
[2009/05/06 15:30]  Win: È molto umiliante per me… Io probabilmente sarei stata troppo orgogliosa per barare… ma il mio senso di colpa ha fatto sì che spingessi te a barare, il che non è stato bello. Ti chiedo scusa
[2009/05/06 15:30]  Frough Spad: Sì, probabilmente avrei dovuto restare nella gabbia, dopo tutto.
[2009/05/06 15:30]  Win: Non avrei potuto andarmene lasciandoti semplicemente lì.
[2009/05/06 15:31]  Frough Spad: Sì, lo apprezzo.
[2009/05/06 15:31]  Frough gives WinthorpeFoghorn a sweet kiss.
[2009/05/06 15:31]  Frough Spad: mmmmmmmmmmmm
[2009/05/06 15:31]  Win sorride: “Mmmm… beh… forse alla fine ne è valsa la pena lo stesso”
[2009/05/06 15:32]  Frough Spad: Forse tutte e due ci siamo fidate troppo della nostra esperienza dimenticando che non basta fidarci di noi stesse, ma che bisogna fidarsi anche della sim.
[2009/05/06 15:32]  Win: Io sono più colpevole di te… ma non ho saputo accettare che fossi tu a subire punizione per la mia presunzione
[2009/05/06 15:32]  Frough Spad sorride.
[2009/05/06 15:33]  Win: Immagino che questo mi insegni ad essere più umile e a infrangere qualche regola, qualche volta
[2009/05/06 15:33]  Frough Spad sogghigna: “Ok, la prossima volta mi devi il favore di dominarmi. Sii gentile e prendi una delle mie chiavi, per la prossima”.

frougheud.jpgSorrido. Le faccio vedere le chiavi del suo collare: “Ho già tutto quello che mi serve”, ribatto. Le intasco, ci abbracciamo. “Non penso che dovremmo avere un rapporto a lungo termine”, sorride Frough, “ma, beh, almeno un’altra volta”.

[2009/05/06 15:38]  Win: Grazie di aver capito – e di aver condiviso un’esperienza
[2009/05/06 15:38]  Frough Spad sorride.
[2009/05/06 15:38]  Win: Buona notte, Frough… sogni dorati di prigionia
[2009/05/06 15:39]  Frough Spad: Buona notte.
[2009/05/06 15:39]  Frough Spad: Mi ricollego col RLV.

Ci scambiamo un sorriso di intesa e gratitudine, poi spengo e vado a letto. Anche stasera ho imparato qualcosa di nuovo su me stessa.