Il tempo vola

Poche considerazioni volanti dopo aver compiuto un anno di Second Life. Con illustrazioni tratte dalle ultime settimane della mia vita in-world, divenuta più sporadica negli ultimi tempi per motivi di RL. E, in apertura, una foto di solidarietà con un  progetto lanciato da Beppe Grillo e segnalatomi da New.


Win partecipa a freeblogger su beppegrillo.it

 

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3 champions_001.jpgAndro sleeping_001.jpgCi sono ancora, eh.

Il tempo vola quando ci si diverte, dicono, e penso che sia vero. Di certo è volato questo mio primo anno di Second Life. Un anno, sì, perché anche se la mia dta di nascita risale al gennaio del 2007, fu solo a novembre di quello stesso anno che, complice un’influenza che mi bloccava a casa e mi aveva tolto la voglia di leggere, scrivere o vedere film (le mie attività preferite quando non posso uscire) mi venne in mente di dare una seconda chance a quel curioso programma che permetteva di entrare in un mondo virtuale.

Duncan_001.jpgForse fu anche la febbre a spingermi a superare una specie di autocensura. La prima volta che mi ero materializzata sulla Orientation Island mi ero smarrita nel tentativo di dare al mio avatar una forma accettabile, ma avevo ben presto scoperto che la quantità di opzioni che avevo a disposizione diventavano per me più paralizzanti che altro. Non ero affatto brava a combinare la forma degli zigomi con la lunghezza del naso, la posizione degli occhi o la lunghezza dei capelli – per non dire di parti del corpo diverse, le gambe, le braccia, il busto e via dicendo. Mi ero arresa abbastanza presto, accontentandomi di un aspetto che era solo marginalmente migliore della famigerata e per tanti indimenticata Ruth – l’avatar standard che veniva dato a qualsiasi nuova arrivata su Second Life, con quel terribile casco di capelli sulla testa.

Avevo cominciato a gironzolare, curiosa. Avevo letto, a suo tempo, un libro che mi aveva un po’ annoiata nonostante (o forse proprio a causa del)la trama complessa e piena d’azione, ma di cui mi aveva affascinata il concetto base: si trattava di Snowcrash di Neal Stephenson e la sua idea fondante, piuttosto innovativa per l’anno in cui il libro era comparso, era l’esistenza di un metaverso – vale a dire di un universo virtuale, parallelo a quello reale e in cui un essere umano poteva collegarsi mediante un computer per entrare a vivere e interpretare personaggi che ne riflettevano la personalità ma che potevano anche essere molto diversi. Se si eccettua il fatto che nel metaverso ci si immergeva completamente, indossando un casco che controllava i principali input sensoriali (solo vista e udito, se non ricordo male, ma sono passati un po’ di anni e potrei confondermi) c’era già l’idea di base di Second Life: un metamondo dove si “andava”, dove si poteva avere una vita, trovare un lavoro, mettersi nei guai, allacciare relazioni, giocare e trovarsi una, dieci, mille strutture sociali da esplorare e di cui diventare parte.

frough_001.jpgMaironipillow_002.jpgSamina supergirl_001.jpgSolo che quando ero entrata su Second Life la prima volta, una volta rinviata a data da destinarsi il miglioramento del mio avatar… una volta accroccato malamente qualcosa da mettermi addosso (qualcosa di decente l’avevo rimediata nella library, dopo aver letto in qualche articolo che quasi nessuno ci mette mai il naso ma che contiene invece sempre un bel po’ di accessori base che possono rivelarsi preziosi)… avevo deciso di cominciare ad esplorare… e dopo pochissimo mi ero resa conto che mi annoiavo mortalmente.

Su Second Life, i luoghi virtuali erano spesso interessanti, pieni di dettagli, costruiti da gente di talento, ma appartenevano, mi pareva, a due sole categorie: quelli deserti e quelli affollatissimi. In quelli deserti mi sembrava di essere sperduta in un desolante dipinto di De Chirico: spazi sterminati in cui ero completamente sola e dai quali, una volta ammirato il colpo d’occhio, volevo solo scappare. Quelli affollatissimi erano spesso piena di “persone” che parlavano fra loro ad altissima voce, sovrapponendosi in modo da rendere qualsiasi dialogo impossibile… e dicendo quasi sempre le sciocchezze insopportabili delle peggiori aree di chat pubblica: “ciaooo”, “ehilà, ragazze”, “ciaooooooo”, “benvenuto Pincopallo”, “me ne vado”, “ciaooooooooo”, “woooooow” e via dicendo.

Poi, circa un anno fa, in quei giorni di febbre, mi venne l’idea di andare a vedere se esisteva qualcosa che potesse soddisfare le mie curiosità di sempre riguardo al bondage. C’era di tutto, su SL, perché non quello? Girai un po’ di posti fino a quando scoprii che esistevano aree con delle gabbie che ti catturavano… e da cui, per un po’ di minuti non potevi liberarti.

Non ci potevo credere. La prima volta che mi capitò credevo di impazzire dall’eccitazione. Poi cominciai a chiedermi se sarebbe venuto qualcuno a catturarmi. Non venne nessuno. Ma il ghiaccio era rotto.

A Stonehaven e Snark (che allora condividevano una piccola area piena di lag in una sim chiamata Littlefield) capitai perché c’era una delle massime concentrazioni di gabbie di ogni possibile varietà. Il posto era piena di gente legata e di gente che legava. E c’era un vendor di Marine Kelley.

Stanlee_001.jpgIndipendentemente dalla mia data di nascita, credo che Win sia nata lì, quel giorno.

Un anno dopo, ho una lista di amici a cui non riesco io stessa a credere… ho un inventario che, nonostante cerchi di prendere meno roba possibile (e fare costantemente repulisti) ormai ha superato i 6000 oggetti. Ho una casa, grazie a Jelena (conosciuta nei commenti a questo post)… anzi ne ho due, perché quella di Andromeda mi appartiene per proprietà transitiva. Ho tre lavori – Bane Operator, Stonehaven Warden e (ma ne parleremo con calma fra qualche giorno) Warden di un nuovissimo Detention Center. Ho un account su Facebook. Continuo a non saper fare quasi niente in-world, ma ho tradotto in RL un libro di cui ho scoperto l’esistenza grazie alla dottoressa Kelley.

Tanti auguri a me. E a tutte le persone che hanno contribuito a rendere questo mio primo anno di vita indimenticabile.