Mille giorni

Un post scritto di getto, dopo aver ricevuto auguri che non mi aspettavo. E che mi hanno fatto ripensare a cosa cercavo quando ho creato il mio account su Second Life. E a cosa, invece, ci ho trovato.

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Io non me n’ero accorta per niente. Se ne sono accorte Daid5 Pontecorvo e Franca Poper, che ieri sera mi hanno fatto affettuosamente gli auguri: oggi compio 1000 giorni di Second Life. Un anniversario che cade, abbastanza curiosamente, a pochissimi giorni dal compimento del mio primo anno con Andromeda e che, come tutti gli anniversari, non ha alcun significato reale ma certamente ne ha uno emotivo. Sebbene molti di questi 1000 giorni non li abbia passati in-world, mille è sempre un numero tondo, grosso, suggestivo – anche se non ci si mette nello stato di chi pensava che il mondo sarebbe finito col primo millennio.

casaclelia_001.jpgHo solo un vago ricordo di quando, mille giorni fa, mi sono collegata al sito di Second Life e ho deciso di provare a creare un mio avatar, ma quello che ricordo molto bene è l’idea originale – quella che ancora oggi mi condanna a portarmi dietro un nome lungo, quasi impossibile da digitare senza fare errori e che, per giunta, continua a mandare in crisi alcuni degli script meno sofisticati. Da poco avevo letto l’affascinante “Snow Crash” di Neal Stephenson, e avevo tanto sentito parlare di questa Second Life che mi sembrava fosse giunto il momento di provare a entrarci. Sapevo solo che, una volta collegata, sarei stata chiamata a creare una specie di pupazzetto elettronico, a dargli una forma e un carattere, e poi a vivere una vita virtuale e andare in giro ad esplorare un mondo creato dagli utenti. Ci ho pensato un po’ su e ho deciso che, beh, se questa doveva essere una seconda vita, tanto valeva che in essa potessi diventare qualcosa che non ero nella realtà. La mia Seconda Vita sarebbe stata una sorta di elaborato gioco di ruolo, in cui avrei interpretato un personaggio di mia invenzione e sarei rimasta a vedere che cosa gli succedeva.

Pedro!_001.jpgMi ero sempre chiesta come sarebbe stata la mia vita se fossi nata maschio, per cui la mia prima scelta fu quella di creare un avatar uomo. Ma non mi bastava: volevo qualcosa di ancora più lontano da me e avevo deciso di diventare un personaggio detestabile. I motivi, francamente, ancora non me li so spiegare, ma posso fare una ipotesi: se avessi creato un avatar dal carattere predefinito avrei avuto delle regole da seguire nella mia interazione con gli altri… avrei avuto un ruolo in un mondo che ancora non conoscevo e che quindi mi intimidiva. Essere antipatica mi sembrava più facile che cercare di capire cosa potevo e non potevo fare. E poi, se fossi stata antipatica e spocchiosa avrei potuto liberarmi da un impulso che so di avere, nella vita reale: quello di farmi voler bene da tutti. In qualche modo, un personaggio odioso, e per giunta maschio, mi avrebbe resa totalmente libera dalla me stessa reale, pronta per iniziare, veramente, una Seconda Vita che non si sovrapponesse alla mia vita reale in alcun dettaglio.

Belias_001.jpegFra i cognomi disponibili in quel periodo sul sito di Second Life scelsi Zinnemann per vari motivi – un po’, forse, perché iniziava con l’ultima lettera dell’alfabeto, un po’ come omaggio a un regista americano ma di origini europee che aveva fatto, in tarda età, un bellissimo film sulla montagna. Ma anche e forse soprattutto perché, nella lista dei nomi, era quello che suonava più roboante e adatto al personaggio che avevo in mente. Per caricare ancora l’effetto volevo avere un doppio nome di battesimo. Il primo, Winthorpe, lo scelsi pensando al personaggio di Dan Aykroyd in “Una poltrona per due”: un figlio di papà presuntuoso, spocchioso, che sarebbe da prendere a schiaffi dalla mattina alla sera (e che infatti nel film ne passa, meritatamente, di tutti i colori).

foghorn.jpgPer il secondo nome, ricordando la mia antica passione di bambina per i cartoni animati della Warner Brothers (molto prima, naturalmente, che le disavventure di Penelope Pitstop cominciassero a formare il mio gusto per corde, trappole e bavagli), ricorsi al personaggio di Foghorn Leghorn: mi piaceva il suono rimbombante della parola Foghorn e, considerata la mia tendenza a chiacchierare troppo, anche il suo significato di “corno da nebbia”… ma credo di essere stata attratta anche dal fatto che Foghorn è un gallo. Usare il suo nome, pensavo, avrebbe rafforzato un poco la credibilità mascolina del mio personaggio – o quantomeno avrebbe aiutato me a crederci un po’ di più.

Ma la vita, dice il saggio, è quello che ti succede quando fai altri piani. Una volta creato l’account, e dopo essere atterrata per la prima volta, come tutti noi il primo giorno di Second Life, alla Help Island, impiegai quasi una settimana nel tentativo di dare al mio avatar un aspetto fuori dal comune. Mi feci subito crescere la barba (ma la tinsi di verde) e poi mi misi a cercare luoghi dove cominciare a recitare il ruolo che mi ero scelta: di un avatar supponente, arrogante, egoista, superficiale e vanitoso.

Lorellatornata_001.jpgDurai due, tre giorni. Forse nemmeno tanto. Ricordo che andai alla presentazione di un libro (e rimasi stupitissima – anzi, stupitissimO – nello scoprire che quando ci si scollega da Second Life il proprio avatar scompare nel nulla) poi in giro per varie sim, prima italiane e poi, quando vidi che lì il cazzeggio era tale da affogare anche qualsiasi mio tentativo di farmi notare comportandomi da stronza, in qualche sim di lingua inglese. E poi mollai, come mollano gran parte delle persone che si affacciano su Second Life con una lista della spesa.

Rimasi nel non essere per mesi. Quell’inverno finì, passarono la primavera, l’estate e l’autunno, arrivò un altro inverno e, con esso, una influenza che mi bloccò a letto per qualche giorno. Non avevo voglia di leggere, vedere la televisione, come sempre, mi rendeva irritabile e frustrata. Riaccesi il computer, mi dissi: “Bah, vediamo un po’ di farci un giro su Second Life“.

Jelena_003.jpegMi ritrovai nella pelle di WinthorpeFoghorn, quel barbuto che non aveva nemmeno saputo distinguersi per la sua antipatia, quel personaggio finto che avevo voluto creare per chissà che motivo e che forse stava troppo antipatico anche a me per meritare di succhiare parte del mio tempo. Cominciai a usarlo come puro veicolo, per rimbalzare da una sim all’altra. E poi… davvero, può sembrare una balla ma davvero non ricordo cosa successe. Non so cosa avvenne prima: non ricordo quando scoprii che su Second Life potevo esplorare fantasie che non avevo mai confessato a nessuno, e non ricordo quando decisi di restituire al mio avatar il sesso che avrebbe dovuto avere fin dall’inizio. Ricordo vagamente che non presi nemmeno in considerazione l’idea di buttarlo via per crearne uno nuovo: si chiamava Second Life, non Third Life, e avrei dovuto cambiare quello che potevo cambiare senza ripartire da zero, perché anche gli errori che abbiamo commesso sono parte del nostro passato. Anche WinthorpeFoghorn, il barbuto antipatico, in fondo in fondo in fondo, qualcosa di mio evidentemente doveva avercelo. Chiamatela scaramanzia, chiamatela come vi pare. Ma non potevo ucciderlo.

Samydomme_004.jpgHo cominciato a gironzolare, a osservare, ad ascoltare… con molta più timidezza ho cominciato a parlare, pian piano, a tentoni, provando a capire dove e come potevo inserirmi, con chi potevo fare amicizia e, quando ho cominciato a capire davvero cosa potevo combinare in questo strano mondo, dove dovevo andare per mettermi nei guai. Senza recitare un personaggio deciso a tavolino, però, bensì comportandomi come il mio istinto e la mia personalità mi suggeriva a seconda della situazione e – beh, di quella che a volte chiamo “coerenza del ruolo” ma che, di fatto, è solo coerenza (anzi un tentativo di coerenza) tout court. Capii piano piano che il mio errore, quando avevo deciso di entrare in Second Life con un ruolo da recitare, era stato illudermi che questa fosse una sorta di festa mascherata in cui ognuno recitava un ruolo. Ci ho messo settimane a capire che non era così ma che era, invece, un luogo dove, protetto dietro alla maschera di un avatar, ciascuno poteva vivere i suoi sogni, o i suoi incubi, purché fosse disposto ad abbandonarvisi con tutta la sincerità emotiva di cui era capace.  Perché recitare è divertente, senza dubbio, ma non si può recitare per sempre. E l’interazione fra le persone diventa possibile, interessante e preziosa solo quando lasci che le persone vedano come sei veramente, nel bene e nel male, e che, se lo vogliono, ti vogliano bene per quello che sei davvero.

Strom26_001.jpgQualcuno, credo a Stonehaven (ai tempi a cui risale questa vecchissimissima foto, che mi ritrae con l’amico Zahnbuerste Strom) cominciò a chiamarmi Win. “I have a long name, and Win is shorter”, spiegavo, quando i miei nuovi amici mi chiedevano se era okay usare quel diminutivo, e rilanciavo, sentendomi molto spiritosa: “and I also like that Win sounds like a lucky name: so it’s a Win-win situation”. Ecco, se WinthorpeFoghorn ha compiuto oggi 1000 giorni, Win probabilmente non ne ha ancora più di 7/800 ma, alla fine, è stata davvero lei a vincere. Nella vita reale non sono alta due metri e venti, non porto un fiore bianco su un caschetto di capelli rossi e ho passato ormai da un po’ di tempo quei vent’anni o giù di lì che dimostro su Second Life: ma il mio carattere è quello di Win, non quello di quel detestabile WinthorpeFoghorn Zinnemann che Win ha saputo, per fortuna, legare e imbavagliare in qualche profonda segreta. Buttandone via, per sempre, la chiave.

Mille giorniultima modifica: 2009-10-13T18:31:00+02:00da winthorpe
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2 pensieri su “Mille giorni

  1. Tomina, grazie! Più passa il tempo più mi rendo conto che SL è soprattutto – anzi, guarda, è SOLO – le persone che ci puoi incontrare. Sono davvero contenta che tu ci sia ancora, soprattutto se penso che ti avevo anche dovuto dire addio, eheheh… Un bacione, ci vediamo in-world!

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