Goodbye Facebook

La sospensione a sorpresa del mio account Facebook mi ha provocato un dolore molto superiore a quello che mi sarei immaginata. Facendomi riflettere su quanto la nostra vita virtuale sia appesa a un filo. E reagire, a mia volta, in modo irrevocabile.

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Domenica sera ho avuto un’amara sorpresa quando ho provato a collegarmi, prima di dormire, con il mio account Facebook. “Your account has been disabled”, diceva la pagina, rinviando alle faq per le spiegazioni. Andando sulle faq, però, non si scopriva molto di più: ti dicevano che l’account poteva essere stato disabilitato senza preavviso per una serie di ragioni, senza dire quale fosse il tuo caso. E quando ho provato a scrivere per avere notizie, convinta che si trattasse di un errore, il messaggio che ho ricevuto in risposta è stato una laconica circolare e, inizialmente, piena di condizionali. Il mio account potrebbe essere stato sospeso per aver creato o caricato contenuti pornografici, sessualmente suggestivi, o che contengono nudità… per aver molestato altre persone con un linguaggio sessualmente esplicito… o per aver spedito richieste di amicizia non desiderate, o messaggi privati a persone che non conoscevo.

Non credo di aver fatto mai nulla di tutto questo, a meno di non considerare “sessualmente suggestive” alcune immagini di avatar in versione bondage – peraltro, mi sembra, molto tranquille – ma i signori di Facebook non specificano. Ma dal condizionale passano a un ferreo indicativo per la seconda parte della mail:

You will no longer be able to use Facebook. This decision is final and cannot be appealed.

Please note that for technical and security reasons, we will not provide you with any further details about this decision.

Thanks,

Laura

User Operations

Facebook

La cosa, lì per lì, mi ha dato fastidio ma fino a un certo punto. Posso fare a meno di Facebook, ho pensato: la mia vera vita è su Second Life e quello che non posso esprimere lì lo scrivo su questo blog. Anzi, a pensarci bene, l’attività su Facebook aveva fatto sì che sfogassi lì gran parte delle mie pulsioni comunicative. Basta vedere quanti post scrivevo prima di aprire l’account e quanti ne ho scritti dopo. Facebook ti spinge a frantumare le cose che devi dire in tantissime piccole frasi, una foto qui, un link là. Ci sono cose, forse, che in un blog non diresti perché sono troppo piccole, ma ce ne sono anche tante che, una volta messe su Facebook, nel blog non le metti più. Ed ecco che scrivi un post in meno. Non sto dicendo che sia di per sè un bene nè che sia di per sè un male, ma non posso fare a meno di pensare che un post qui sul blog abbia, in genere, una forma, un senso e anche una sua durevolezza nel tempo che qualche status su Facebook difficilmente può avere. Non lo dico perché mi illudo di fare della letteratura ma perché, molto banalmente, vedo come va il traffico su queste pagine e so che anche i post più vecchi continuano ancora oggi a ricevere visite.

Immagine 3.pngInsomma, mi sono detta “pazienza” e non ci ho pensato più. Ma poi, il giorno dopo, mi sono sorpresa più volte, durante la giornata, ad aprire il browser senza pensarci e a cercare di visitare la mia bacheca e quella delle persone a cui voglio bene. E ogni volta, di nuovo, trovavo quella porta che mi era stata chiusa, irrevocabilmente, in faccia. Anzi, nemmeno in faccia: perché al posto del mio viso, l’account riporta adesso l’avatar vuoto. Ed è la cosa peggiore: sono diventata un volto bianco. Sono un bane che, a differenza di quelli di Eudeamon, non ha nemmeno più il diritto ad aggirarsi muto fra i cittadini liberi.

E mi sono tornati in mente due episodi più o meno recenti. La cancellazione dell’account di Andromeda su Second Life, prima di tutto. Per Andro è stata una mazzata che per poco non l’ha convinta ad abbandonare il metaverso, nonostante avesse diversi alt già pronti a prendere il posto di quello che era stato giustiziato. E poi un incidente che risale ormai a parecchi mesi fa, quando Ewyn Raymaker scoprì di non riuscire più a collegarsi a Second Life perché il suo account si era come incantato – facendo sì che lei risultasse sempre online, ma muta e immobile, per tutti gli altri, ma che dal suo client risultasse chiusa fuori. Ricordo che Ewyn mi aveva scritto, allora, di aver pianto dalla rabbia e di avere, anche lei, deciso che se non si fosse sbloccata la situazione avrebbe abbandonato Second Life. Immagino che fosse perché anche lei, come me, si identifica in modo totale con la sua identità virtuale. E quando si muore, quale che sia il motivo, si muore e basta.

Le nostre vite reali, lo sappiamo, sono sempre e comunque appese a un filo. L’elemento nuovo della nostra vita virtuale è che, sempre più spesso, questo filo è alla mercé delle forbici di Parche molto più umane di Atropo ma altrettanto tetragone alla comunicazione. Sia Facebook che Second Life (ma, se è per questo, anche Google) sono sistemi proprietari e chiusi, a cui accediamo solo fino a quando chi ne ha le chiavi non decide di buttarci fuori per qualsiasi motivo, fondato o meno che sia. Noi siamo abituati a considerarli casa nostra, e ci mettiamo tanto di nostro, ma quando la porta viene chiusa non abbiamo modo di recuperare niente. Nei server ora inaccessibili del mio account Facebook io lascio centinaia di fotografie, solo parte delle quali ho messo su questo blog. Centinaia di momenti cristallizzati in un’istantanea che, ogni tanto, mi capitava di andarmi a rivedere e che ora sono per sempre perduti. Senza appello perché, come spiegava bene una puntata di Report che l’amica Francesca Allen mi ha segnalato ieri, non è che Facebook fornisca a noi un servizio gratuito: siamo noi, semmai, il prodotto che loro forniscono ai loro clienti, che sono, ovviamente, le aziende che vogliono farsi pubblicità. E il prodotto viene gestito come tale: buttando via quello che si decide essere difettoso.

Nel mio caso, dopo averci pensato bene, credo di essere arrivata a capire il motivo della mia sospensione. L’ultima cosa che ricordo di aver postato sulla mia bacheca è stata un link a un server su cui avevo caricato la puntata di Secret Diary of a Call Girl di cui ho parlato nel mio ultimo post. Senza dubbio una grave sciocchezza da parte mia e un atto di cui mi pentirei anche se non fosse stato questo il motivo scatenante della mia messa al bando. Ma la policy di Facebook è pensata in modo che io non possa averne la certezza. Sono stata sbattuta fuori e basta, senza spiegazioni che mi avrebbero potuta aiutare a capire se e in cosa avessi sbagliato.

E allora ho preso una decisione. Anche se il motivo della mia esclusione non fosse quello, mi comporterò come se lo fosse. Ammetto di aver sbagliato e accetto per questo errore la pena capitale Facebookiana: non rientrerò con nuovi account di posta, non tornerò a girare per le bacheche degli amici, a postare link, a guardare e taggare le foto degli altri. Continuerò ad esistere su Second Life, naturalmente, e continuerò a scrivere su questo blog, ma senza più regalarne i contenuti a Facebook. Scommetto che le persone che mi sono vicine continueranno a esserlo. Forse anche più di prima.

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Ho provveduto a sostituire tutti i link pubblicati al mio profilo FB con questa pagina, tranne qualcuno che punta alla pagina-memoriale che mi sono creata su Seppukoo.com. Se vi diverte visitarla, questo è il link: http://www.seppukoo.com/memorial/Win-Zinnemann/66902541

Ma questo non è un addio: ci rivediamo in-world! :-)

Lezioni di dominazione

Un post che dovevo scrivere tanto tempo fa e che era rimasto nella tastiera fin dal novembre 2009. E che adesso è il momento di tirare fuori per dedicarlo non solo alla persona con cui ne avevo parlato allora, ma a molte. Inclusa la sottoscritta.

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Prima di cominciare a scrivere questo post voglio mettere subito in chiaro qualcosa: sono di nuovo libera. La mia prigionia si è conclusa poco più di 48 ore dopo la mia cattura e cercherò prossimamente di dar conto di come sia andata. Ma prima di farlo, ho deciso che è il momento di scrivere qualcosa su un telefilm che ho visto ormai un bel po’ di tempo fa, a cui avevo accennato già qui e che, nel frattempo, è arrivato persino in Italia.

Immagine 2.pngLa serie si intitola Secret Diary of a Call Girl ma da noi è stata tradotta Diario di una squillo per bene, con una lieve modifica che, una volta tanto, non sa di tradimento. Perché la protagonista della serie, nome d’arte Belle, è effettivamente una brava ragazza – che però ha scelto come mestiere quello della prostituta. Perché? Perché le piace il sesso, prima di tutto, e poi perché le piacciono i soldi. Tutto qui, senza psicologismi, drammi o traumi infantili. Fra l’altro, la serie è tratta dal libro di una signora che inizialmente lo aveva pubblicato sotto forma anonima, ma che a un certo punto ha rivelato in una intervista la sua vera identità dichiarando di aver fatto la ragazza squillo, per quattordici mesi, per pagarsi gli studi e arrivare alla sua professione attuale. Che è quella di ricercatrice scientifica nel settore dell’oncologia.

Di questa serie io ho visto fin qui solo la prima stagione ma mi sento di raccomandarla a chiunque: non è compiaciuta nè particolarmente maliziosa e offre, del sesso a pagamento, una visione leggera e giocosa che va probabilmente presa con le molle… ma ha il merito di affermare il diritto di chiunque a vivere la propria sessualità come preferisce, rifiutando a priori qualsiasi moralismo. In questo campo, nessuno può permettersi di giudicare gli altri e ben venga, se necessario, anche un telefilm a ricordarcelo, visto che un po’ a tutti noi può capitare di pronunciare condanne verso gli altri, salvo poi non accettare volentieri quelle che ci riguardano. Un’altra delle cose che amo di Second Life è che mi ha messa in contatto con una varietà infinita di persone, facendomi scoprire realtà e gusti molto al di là di tutto quello che pensavo di sapere. Per una che, come me, si è sempre piccata di avere una mente abbastanza aperta a quello che non conosceva, posso assicurare che è stata e continua a essere un’esperienza illuminante.

Immagine 1.pngMa torniamo alla serie, che mi ha coinvolta in modo particolare anche per un altro motivo. Forse non tutti sanno che, prima di donarmi le chiavi del suo collare, Andromeda è stata per molto tempo una escort virtuale, e mi ha raccontato di aver messo da parte, in quel modo, una discreta sommetta. Se si aggiunge a questo il suo carattere giocoso e sbarazzino, e il fatto che Billie Piper, la protagonista, le assomigli in modo notevole, forse si può capire il mio interesse. Vedere Secret Diary of a Call Girl era un po’ come assistere a flashback immaginari sulla vita passata di Andro, e un modo per esserle più vicina.

Immagine 4.pngImmagine 5.pngImmagine 6.pngMa sto divagando, perché in questo post voglio occuparmi solo dell’episodio 4 della prima stagione, quello in cui il commercialista di Belle le offre di farsi pagare l’onorario in natura, esprimendo il desiderio di un rapporto di natura sadomaso. Belle, abituata in genere a richieste più tradizionali, va a parlare con una Mistress professionista per farsi dare qualche consiglio professionale su come comportarsi. E scopre per la prima volta quanto la fantasia della sottomissione possa avere su alcune persone un fascino irresistibile. Anche se, come scopre con sorpresa, il sesso è escluso a priori.

Traduco in breve per chi non capisse l’inglese. “Qualcuno medita, qualcuno prega”, spiega la Mistress a Belle, per poi illustrare il menu delle sessioni: “Qualche leggera sculacciata, qualche frustatina, cuoio morbido”. E quando Belle si informa su come ci si regola quando si tratta di fare sesso, l’amica lo esclude recisamente. “E come fai a sapere quando hai finito?”, chiede Belle. La risposta è comicamente prosaica: “Mi suona il timer dell’orologio”. Per i suoi schiavi, continua la Mistress con tono serissimo, lei è una dea e mai si abbasserebbe a fare sesso con loro, distruggendo una distanza che può essere fondamentale per  un rapporto di dominazione – anche perché è una donna sposata e non ha alcuna intenzione di tradire il marito.

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Dopo un breve dialogo su ciò che prova chi viene dominato (sollievo, soprattutto: dalle responsabilità delle proprie azioni e dal senso di colpa, perché quello che stai facendo, per sporco o umiliante che sia, non lo stai facendo di tua volontà, ma solo perché qualcuno ti ci sta constringendo con la forza – tanto che Belle sospira, guardando lo schiavo che sta leccando gli stivali della sua amica: “Già, sotto al tavolo ci si deve sentire tanto in pace”) arriva per la protagonista il momento di passare all’azione col suo commercialista, ed è qui il punto che mi stava a cuore tanto da volerne parlare. Il momento della negoziazione.

Immagine 16.pngImmagine 17.pngSì perché se noi, che viviamo le nostre fantasie solo nel mondo virtuale di Second Life, possiamo permetterci di rischiare qualsiasi esperienza – passando dal fetish leggero a ogni sorta di kink, per estrema che possa sembrare – la vita reale è un’altra cosa. E se già su Second Life non è particolarmente facile incontrare qualcuno di cui potersi fidare, posso solo immaginare quanto sia arduo incontrare nella realtà qualcuno a cui offrire il controllo assoluto sul proprio corpo. Pertanto, come ci spiega Belle, qualsiasi cosa accadrà nel corso della sessione deve essere minuziosamente deciso prima, per evitare che la fantasia della sofferenza si trasformi in sofferenza reale, e che la costrizione non abbia gli effetti paradossalmente liberatori cercati dalla vittima, bensì l’esatto contrario. Anche gli insulti sono concordati in precedenza col cliente, via e-mail, come in una vera e propria sceneggiatura che andrà rispettata nel modo più scrupoloso.

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Il risultato di tutta questa pianificazione, insomma, altro non è che un vero e proprio RP. Io che non ho mai vissuto questo tipo di esperienza nella vita reale posso solo imaginare che la sensazione potente della costrizione fisica (e, immagino, una certa dose di elasticità nell’interpretare la sceneggiatura prevista da parte del personaggio dominante) debba compensare il fatto che, poiché tutta la scena è stata definita prima di cominciare, la sensazione di perdita di controllo non possa essere che molto relativa. Personalmente, credo che se dovessi pianificare tutto prima mi sentirei annoiata come quando mi succede di dover rivedere un film che già conosco… ma stiamo pur sempre parlando di un telefilm, e di una situazione in cui il rapporto sub/dom è temporaneo, mercenario e soprattutto per questo destinato per forza a una semplificazione che non si avrebbe se fra le due persone coinvolte ci fosse invece una relazione emotiva. Se non vi spiace, quindi, andiamo avanti, perché siamo arrivati alla questione che fin dall’inizio volevo toccare. La questione espressa dalla battuta pronunciata da Belle nei sottotitoli dell’immagine di apertura di questo post. Come si fa a sapere se stai facendolo nel modo giusto?

Immagine 19.pngImmagine 21.pngImmagine 22.pngSecret Diary of a Call Girl ha il tono della commedia, ma il tema è serio e mi sembra che tocchi direttamente molti altri spunti che mi è capitato di sfiorare in queste pagine – temi che forse hanno a che fare più col BDSM virtuale di Second Life che con quello del mondo reale. Un rapporto fra dominante e sottomesso nasce da un equilibrio molto fragile fra i desideri di tutti e due, perché se è scontato che una parte provi piacere nel dominare e l’altra nell’essere dominata, il rischio è che, nel tentativo di pilotare la scena, ciascuno tiri o spinga troppo dalla parte sbagliata. Chi si trova ad essere dominato proverà il desiderio di suggerire a chi lo sta dominando qualche idea, qualche comportamento particolare – ma facendo ciò, di fatto, allontana irrimediabilmente quel desiderio di perdita di controllo che può essere soddisfatto solo dal sentirsi in balia della volontà di qualcun altro. Questo comportamento può arrivare al fenomeno del cosiddetto topping from the bottom, quando di fatto è la persona legata a decidere tutto e, con maggiore o minore discrezione, detta a chi dovrebbe avere il controllo ogni azione. Per me, questa diventa quasi una forma di self bondage, in cui il dominante non è che uno strumento con cui il sottomesso dà piacere a se stesso. Dall’altra parte, ovviamente, c’è il rischio che chi sta sopra esageri nell’inseguire i propri desideri, imponendo alla sua vittima restrizioni o trattamenti che, appunto, vanno al di là della soglia oltre a cui il piacere svanisce. “Nel mio mestiere”, commenta Belle, “quando porti un uomo all’orgasmo sai di aver avuto successo. Qui invece non riesco nemmeno a capire se se la sta godendo”.

Immagine 23.pngQuesto dilemma io l’ho vissuto spesso, su Second Life, e so di per certo di non essere sola. So che Belias, quando mi aveva catturata, aveva paura di non essere all’altezza delle mie aspettative, e chi ha letto tutto questo blog sa bene fino a che punto abbia saputo travolgermi. So che Calypso Agseram, in questi giorni in cui mi teneva incatenata, spesso mormorava cose tipo “sono un disastro”, “ti sto annoiando”, mentre io, presa completamente di sorpresa da un comportamento che da lei non mi aspettavo, mi sentivo cera molle nelle sue mani ed ero felice di esserlo. In generale, ho imparato spesso a riconoscere, anche nelle Mistress più feroci – quelle vere, intendo, non le Win della situazione, ma quelle che mai e poi mai potrebbero anche solo pensare di cedere il controllo su di sè a qualcun altro – la sottile paura di non saper trovare il punto giusto… il comportamento che coglie nel sub quel punto debole, quel particolare che vince qualsiasi resistenza e che può travolgere tutti i limiti, negoziazione o non negoziazione.

Immagine 24.pngLa paura c’è. Forse ci deve essere perché, come nella maggior parte delle cose importanti, in un rapporto fra due persone non esistono regole. Ci si può mettere d’accordo su tutto, ma la cosa più bella è quello che accade senza pianificazione, o a dispetto di essa… quello che si scopre rischiando di sbagliare, cercando di accorgersene in tempo quando si fa un passo falso, ma senza esitare troppo per la paura di sbagliare. Perché non sappiamo mai quando quello che ci sembra un errore si rivela, per l’altra persona, proprio quello che desiderava e non sapeva di desiderare.

Catene

Qualche riga scritta fra il primo e il 2 aprile scorsi ma che solo adesso riesco a pubblicare, per impegni di RL prima e, dopo, per un lungo down della piattaforma MyBlog.

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Photo: © Calypso Ageram

Lo so che a pubblicarla l’altro ieri, primo aprile, non ci avrebbe creduto nessuno, ma dopo tutto stento a crederci anche io. Ho le mani legate dietro la testa con luccicanti manette di metallo. Le caviglie sono anch’esse bloccate e incatenate a qualche anello. Non riesco a capire se l’anello sia sul pavimento oppure sul soffitto perché sento addosso a me catene che tirano in tutte le direzioni e sugli occhi ho una benda, legata non troppo stretta ma abbastanza da non permettermi di vedere nulla. In bocca ho qualcosa di morbido e resistente che mi impedisce di chiuderla ma anche di parlare.

Calyfra_001.jpgCalyfra_002.jpgE sento qualcosa di pesante sul collo. Un collare, che ho visto luccicare quando mi è stato chiuso addosso ieri – poche ore che sembrano già tantissime durante le quali non sono riuscita più a vedere nessuno. Nessuno salvo le persone, o meglio la persona, che mi ha legata.

Non mi succedeva da molti mesi. Per essere più precisa, credo che non succedesse dal dicembre dello scorso anno quando, proprio nel piazzale del WCF, Francesca Miles mi rapì a sorpresa e mi trascinò a casa sua, sottoponendomi per alcuni giorni ad ogni sorta di umiliazione. Fra cui quella più estrema, concepita dalla sua schiava Chiara, e di cui fecero le spese anche i lettori di queste pagine, di scrivere per lei addirittura una poesia.

Ma stavolta è diverso. In questa casa ci sono venuta io, di mia spontanea volontà, e l’ho fatto per un gesto di amicizia e preoccupazione proprio verso quella persona che, approfittando di un momento in cui ero distratta da qualche IM, mi ha presa all’improvviso e trascinata in una grande stanza, rinchiudendomi prima in una teca di vetro poi, pochissimo dopo, trasformandomi in una statua di marmo nero immobilizzata in una posa che avrebbe fatto l’orgoglio di Fidia (e con un globo da reggere che avrebbe dato qualche brivido persino ad Atlante).

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Sembra che io stia cercando di creare della suspense, ma in realtà non ci sono segreti, questa volta. La mia rapitrice non ha esitato a pubblicare le prime foto sul suo profilo Facebook e il giorno dopo ho sentito che me ne stava scattando altre. Del resto, solo chi non ha mai vissuto Second Life in questo modo può pensare che un rapimento possa assomigliare a un altro. In questo caso, ad esempio, la mia aguzzina è qualcuno che conosco ormai da parecchio tempo e che, sebbene abbia cambiato non so quante identità, non ha mai finto di essere qualcuno di diverso da quello che era. Semplicemente, per motivi che ci vorrebbe un po’ a spiegare, ogni tanto si reincarnava, continuando però a frequentare le stesse persone e gli stessi luoghi di prima e, anzi, assicurandosi ogni volta che le persone che conosceva prima del cambiamento la riconoscessero subito.

Calyfra_007.jpgCalyfra_011.jpgAll’inizio di chiamava Frine, Frine Sapphire. Era arrivata alla vecchia Winsconsin, era stata collarata da Jelena e, per un po’ di tempo, era stata sua. Quando quel rapporto si era concluso, avevo conosciuto Franca Poper – ossia la persona che, fin da prima, le era stata vicina e che è da sempre al suo fianco attraverso ogni trasformazione: quando si chiamava Ariadne, quando divenne Clelia Saxondale, Nemesis Lourbridge e (ma magari ne dimentico una) l’incarnazione attuale, Calypso Ageram. Da allora, Franca e Clelia/Nemesis/Calypso sono sempre state per me una cosa sola, e la loro relazione sempre tempestosa qualche volta ha provocato echi anche importanti nelle nostre vite.

Calypso ha, del bondage, un’idea abbastanza vicina alla mia – non è tipa da torture, ma è sicuramente tipa da controllo, affettuoso ma ferreo. Eppure è anche molto diversa da me: con lei, quello che a volte chiamiamo RP è un costante entrare e uscire dal ruolo o, se volete, una sorta di OOC in-character. In qualche strana maniera, avere a che fare con lei ti costringe ad accettare la possibilità che si sciolga senza troppi problemi dalla situazione che con te sta vivendo in quel momento, ma le emozioni che prova sono quasi sempre trasparenti. Mi è capitato di legare sia lei che Franca, e con meno frequenza mi era capitato anche di esserne catturata – anche in tempi recentissimi, visto che la casa delle due matte è (o era) costellata di trappole automatiche, ma il più delle volte erano situazioni che, per quanto emozionanti, non sopravvivevano al tramonto o all’alba. Cambiava l’umore, cambiava la situazione, cambiava l’idea e si voltava pagina.

calyfra3_001.jpgcalyfra4_001.jpgcalyfra5_001.jpgA metà della scorsa settimana, Calypso mi ha mandato un IM per salutarmi. Non era il primo addio che dava a me o alle altre persone che sono a qualche titolo parte della sua vita, ma non per questo ho pensato di non prenderla sul serio. Ognuno può sembre avere ottimi motivi per lasciare un mondo intenso e travolgente come Second Life e ognuno ha sempre diritto di cambiare idea. Ci siamo salutate con un abbraccio, poi sono tornata a casa con Andromeda, rassegnandomi a risentire Calypso magari via mail o su Facebook, nel caso fosse davvero riuscita a chiudere il suo account senza tornare con una nuova identità. Ma poi, il giorno dopo, mi è parso di vederla andare offline e sono passata a vedere cosa fosse successo, con l’idea magari di fare due chiacchiere con Franca e farmi aggiornare sulla situazione. Mentre ero lì, Calypso si è materializzata all’improvviso, dicendo tuttavia che si trattava solo di un rinvio e che per lei Second Life era un’avventura conclusa.

Abbiamo fatto qualche chiacchiera ma poi, mentre stavo per congedarmi, le è successo qualcosa. Non ho idea di cosa possa esserle scattato, anche perché ero impegnata in uno scambio di IM con Kadira, ma all’improvviso mi sono trovata trascinata nella teca di vetro, poi sul piedistallo, e infine coperta di catene.

calyfra5_002.jpgHo provato sorpresa, ma ho provato anche un po’ di eccitazione. Non mi capita più molto spesso di perdere il controllo ma so che, dentro di me, dorme sempre la Win dei post più vecchi di questo blog: quella che, nella situazione giusta, si sente tremare piacevolmente le gambe quando sente lo scatto di un lucchetto. Calypso si è divertita a scattare qualche foto, e ne ha pure postata qualcuna su Facebook mettendo in scena un’improbabile situazione in cui a rapirmi era stata Franca. Nel complesso, un pomeriggio emozionante ma che, ne ero convinta, si sarebbe risolto senza problemi il giorno dopo quando, come ogni volta precedente, sarei stata liberata.

Quello che invece è successo l’altro ieri è stato ben diverso. Nonostante io restassi online molto a lungo per cercare di liberarmi dalle catene con le tecniche di cui più volte abbiamo parlato, Calypso si è ricollegata un paio di volte per tornare implacabilmente a serrare di nuovo le mie catene. Poi, quando abbiamo avuto un po’ di tempo da passare online insieme, ha mostrato tutte le intenzioni di non cambiare affatto idea, questa volta. Con l’aiuto di una Franca sempre tenuta al guinzaglio corto mi ha portata in una sorta di grande stanza adibita a prigione, mi ha spinta con ferma gentilezza dentro una grossa gabbia, mi ha letteralmente coperta di catene pesanti. E poi, quando ha constatato la mia scarsa disponibilità a chiamare lei e la sua compagna “Signora”, ha completato l’opera, spogliandomi, rasandomi a zero e stringendomi sugli occhi una fitta benda.

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Photo: © Ewyn Raymaker

Da quel momento, non posso far altro che tirare con rabbia le catene che mi stringono, divincolarmi per cercare di far cadere la benda, mordere il bavaglio che mi impedisce di comunicare con l’esterno. Riesco solo a muovere le dita delle mani e a mugolare. E osservare con una certa preoccupazione come, accanto al desiderio di scappare appena possibile, si affacci subdolamente una sensazione che credevo di aver dimenticato. Una sensazione niente affatto spiacevole ma che, proprio per questo, mi sembra tanto più pericolosa.