Mistress si nasce

Il gioco del bondage prevede una serie di cortesie reciproche, se ci si vuole creare un piccolo gruppo di amici con cui giocare quando non accade l’imprevisto. Ma attenzione a verificare prima le proprie competenze.

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Una cosa che si scopre molto presto frequentando le aree BDSM di Second Life è  che vi si incontrano molti più cosiddetti sub che cosiddetti dom. Le persone che indossano manette o altri strumenti di costrizione, e che gironzolano ansiosamente temendo e sperando al tempo stesso che qualcuno le acchiappi sono probabilmente in rapporto di uno a dieci rispetto a chi vaga a caccia di prede. Forse anche per questo, i predatori bravi non sono molti, e un’aspirante sub rischia sempre di finire nelle mani di qualche niubbo senza idee che magari sa a malapena chiuderle le manette ai polsi e ordinarle di spogliarsi.

Dopo ore e ore passate con le manette aperte ai polsi, alla vana ricerca di qualcuno che ne approfitti, finisce quasi sempre che ti rendi conto di dover fare qualcosa per attirare l’attenzione. Qualcosa di birbone, qualche tremendo dispetto, qualche tiro abbastanza imperdonabile da far venir voglia alla vittima (o ai suoi amici) di vendicarsi su di te… ma non così imperdonabile da indurre gli altri a ignorarti per sempre, magari usando nei tuoi confronti il temutissimo tasto mute (o, peggio ancora, denunciandoti ai guardiani della SIM per fartene bannare). Spesso, anche la fanciulla più sottomessa si troverà ad osservare le chiavi in bella vista di una ragazza vicina, sentendo la tentazione di impadronirsene, allungando le dita col cuore che batte… e alla fine facendo il salto da aspirante preda a predatrice effettiva, catturando la vittima e, come minimo, sbattendola in qualche gabbia per un po’ di tempo. Sperando di aver seminato vento, e di poter presto raccogliere la tempesta.

Ho conosciuto Cerdita Piek nei miei primissimi giorni di frequentazione di Stonehaven. Se ne andava in giro con una tag sulla testa che diceva sempre Looking for trouble. Sempre, tranne quando diceva Trouble found, naturalmente. Cerdita era praticamente sempre legata come un salame, o in procinto di esserlo, sempre coinvolta in elaborati giochi di ruolo nei quali la sua parte era la miliardaria rapita dai criminali, la fanciulla indifesa catturata da un bruto, la giovane fatta prigioniera da uno scienziato pazzo in vena di esperimenti. Capire quello che diceva era spesso impossibile perché era perennemente imbavagliata. Eppure, fra i lamenti disperati e le vane preghiere di liberazione, il suo umore era quasi sempre ottimo – sempre che i suoi catturatori non violassero i limiti, molto precisi, che lei impone a chi gioca con lei.

Col tempo, Cerdita ha sviluppato un lato domme che a volte si rivela sorprendentemente e piacevolmente bastardo. Ne ho fatte le spese più volte con gioia (ne parleremo prossimamente) e più volte ho cercato l’occasione di renderle il favore. Quando è venuta a trovarmi per farsi raccontare la mia esperienza come bane ho deciso quindi che fosse il caso di farle assaggiare un po’ di isolamento. Mentre chiacchieravamo l’ho ammanettata a sorpresa, l’ho sbattuta su di un letto e le ho annunciato che ora sarebbe toccato a lei provare l’invenzione di Marine Kelley.

Ma voler fare la Mistress non è facile come sembra quando sei dal lato sbagliato delle manette, maledizione. Anche solo a mettere Cerdita sul letto mi ci sarà voluta mezz’ora per via del lag e di certe animazioni non troppo ben fatte… poi, dopo che l’avevo spogliata completamente, è venuto fuori che lei non possedeva una skin integrale di lattice – requisito fondamentale per un bane che si rispetti. Ho dovuto permetterle di rivestirsi, toglierle il guinzaglio, teleportarla al negozio e guidarla nell’acquisto, e se n’è andata un’altra mezz’ora di gioco.

Quando, alla fine, l’ho avuta pronta fra le mani – completamente rivestita di lattice e con i polsi legati dietro la schiena – le ho messo il mio casco da bane e ho fatto scattare la serratura… solo per scoprire che ero in grado tutt’al più di renderla sorda e muta. Nel menu non esisteva alcun bottone che mi consentisse di attivare il Custodian come faceva Marine. Ho frugato dappertutto, affannosamente, cercando in qualche modo di nascondere la mia incapacità… ma alla fine, quando Cerdita mi ha detto “Tutto qui?” ho dovuto ammettere la mia incompetenza, arrossendo e, alla fine, liberandola dal casco. Che vergogna. Cerdita è un’amica e si è fatta una bella risata, ma la prossima volta che l’acchiappo devo essere ben preparata e sicura, per fare in modo che le passi la voglia anche solo di sorridere. Glielo devo.

(Prossimamente: Nell’antro di Isabel Schulze)

Libera

La fine del test è finalmente arrivata. Ma il sollievo si mescola a un’altra sensazione inaspettata. Possibile che uscire dal banishment sia più difficile che entrarvi?

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Appena tornata dalla vacanzina pasquale, prima di andare a dormire, mi collego un momento, speranzosa. E mi va bene. Il mondo intorno a me non fa in tempo nemmeno a materializzarsi che già il casco del banesuit mi trasmette un messaggio dalla dottoressa Kelley: “Sono online ancora per dieci minuti. Se vuoi che ti liberi devi venire subito a La Isla Bonita”. Marine è europea e si collega, di norma, solo nel tardo pomeriggio e non per molto tempo: non posso perdere questa finestra e mi teletrasporto immediatamente alla centrale.

Il rito della liberazione è, per forza di cose, molto più veloce di quello della chiusura: Marine ha fretta, e anche io sono stanca dopo quasi cinque ore in un’autostrada Real Life fortunatamente meno trafficata di quanto temessi.

[2008/03/24 16:51]  Bane Helmet: Marine Kelley : pronta per essere rilasciata, Bane ?
[2008/03/24 16:52]  WinthorpeFoghorn Zinnemann assentisce
[2008/03/24 16:51]  Bane Helmet: Marine Kelley : custodian, muteness punishment end
[2008/03/24 16:51]  W-1007: Executing order from Operator.
[2008/03/24 16:52]  Bane Helmet whispers: WinthorpeFoghorn Zinnemann’s Bane Helmet has been unlocked by Marine Kelley after 14:56:50 (detached 0 times)
[2008/03/24 16:53]  Marine Kelley: custodian, suspend all protocols
[2008/03/24 16:53]  W-1007: Executing order from Operator.
[2008/03/24 16:53]  Bane Helmet: : Custodian protocol suspended. :
[2008/03/24 16:53]  Marine Kelley: ora sei di nuovo libera, Win :)

Mi tolgo il casco quasi subito e poi abbraccio la dottoressa, che si informa sulla mia salute. No, le dico, non è stato troppo duro… sì, a tratti è stato noioso, ma anche bellissimo… e penso che ci vorrà un pochino a riabituarsi alla vita normale, adesso. Marine sorride: “Sì, lo penso anch’io… Sto considerando di aggiungere al laboratorio, quando sarà costruito, una stanza per il supporto psicologico”. Le prometto entro domani una notecard con i miei appunti e le mie considerazioni, poi Marine si dissolve nel nulla come tutti noi quando ci scolleghiamo dalla rete. Con tutto corpo ancora ricoperto dalla skin in lattice nero, inalo l’aria del mare vicino, strizzo gli occhi, cerco di ricordare cosa significa essere di nuovo padrona di me stessa. Ora potrei fare quello che voglio – vedere gli amici, giocare di nuovo con le gabbie, mettermi nei guai o magari anche rapire qualcuno, eppure…

…eppure non me la sento ancora. Sono quindici ore di gioco che qualsiasi relazione interpersonale mi è proibita, che non posso avvicinarmi a più di venti metri da chicchessia, che non posso nemmeno ascoltare gli altri, né zoomare per cercare di vederli più da vicino… Quindici ore di gioco sembrano poche, ma sono più che abbastanza per iniziare a condizionarti: così, già da ora, non mi sento troppo in vena di andare nei soliti posti che amo frequentare. Ho un po’ paura di incontrare gli amici, paura di dover rispondere alle loro domande… paura di non sapere se ho tanta voglia di essere catturata da qualcuno. Entrare in un banesuit è facile, basta chinare la testa. Uscirne è una cosa un po’ più complicata. Il controllo non è una questione di lucchetti.

Resto in giro per una decina di minuti, come instupidita, vagando come se fossi ancora un bane… e pian piano rimettendomi la pelle tradizionale. Recuperare il mio viso mi conforta un poco, i vestiti e i capelli mi danno di nuovo la sensazione di essere una persona e non un oggetto. Ma è quando mi rimetto tra i capelli il mio fiore bianco che sento, davvero, di essere tornata. Il bane W-1007 diventa, per ora, solo un ricordo ancora vivido. E io sono di nuovo Win.

(prossimamente: Chi ha paura dei banesuit?)

Pasqua da bane

Ancora qualche annotazione sulla mia esperienza di bane, prima che si concluda il weekend pasquale e io riesca a collegarmi nuovamente a Second Life, consentendo finalmente a Marine di liberarmi dal banesuit.

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Come promesso alla dottoressa Kelley, non voglio rivelare qui le punizioni e le limitazioni che vengono imposte a un Bane – l’emozione di non sapere di preciso cosa ti aspetta fa parte del brivido di questa forma di bondage e sarebbe davvero un peccato rovinarlo a chi ancora non ha avuto modo di provarlo. Basterà dire che da quindici ore di gioco non ho modo di comunicare con alcun amico nei modi tradizionali. La chat viene distorta dopo pochissime battute ed è quindi inutilizzabile, lo scambio di IM è inibito e tutto quel che mi resta sono i cosiddetti emotes, vale a dire quel minimo di linguaggio corporeo consentito dal suit.

Come funziona il linguaggio corporeo? Che nella riga destinata alla chat pubblica inizi la frase con “/me” così, invece di scrivere la frase da te pronunciata, descrivi una tua azione. Per cui invece di ottenere come risultato una frase come:

Winthorpe Foghorn Zinnemann: Ciao come stai?

ottieni una cosa di questo tipo:

Winthorpe Foghorn Zinnemann saluta con la mano.

Esiste chi utilizza gli emote in maniera impropria descrivendo cose impossibili da comunicare a gesti. Io non scriverei mai una cosa del tipo “/me si sente felice della tua presenza e vorrebbe potersi avvicinare a te per abbracciarti” perché si tratta di un concetto troppo complesso da esprimere con un gesto. Sarebbe un imbroglio, e io non imbroglio. Mai.

Quando Marine mi ha lasciata segregata nel banesuit anche dopo l’esaurimento delle mie nove ore, uno dei Bane con cui si è messa a parlare è stata Moss Hastings, una cara amica che aveva appena esaurito la sua sentenza. Moss è una delle prime persone che ho conosciuto nelle aree BDSM di Second Life, e da qualche settimana ci siamo particolarmente avvicinate. Ha un rapporto molto stretto con Chriss Rosca, geniale scripter e creatrice di alcuni strumenti di restrizione di cui ti parlerò senz’altro: in genere, Chriss è la sua padrona e se la tiene ben stretta, ma qualche volta è Moss a farla prigioniera e ad averne cura.

Devo esclusivamente a lei se ho potuto partecipare a questo test dei banesuit di Marine. In qualità di Trainer del Bondage Team, Moss mi aveva ammanettata, imbavagliata e chiusa in gabbia perché io effettuassi il mio terzo Bondage Ordeal (lo so, lo so, ho promesso di parlarne – e manterrò, ma non stavolta). Mi stava tenendo compagnia durante i miei sforzi per liberarmi, quando ha saputo, e mi ha segnalato, che Marine cercava dieci cavie. Quando ho avuto la notizia di essere stata accettata nel Banishment Program, ho subito insistito perché anche Moss si candidasse con me – la sua invidia era percepibile! – e alla fine ho vinto le sue resistenze spingendola a farsi avanti. Moss era così rientrata nel programma per il rotto della cuffia, come decima candidata.

Il giorno dopo stavo vagando per la sim di ManetteMatte, la più nota fra le aree italiane dedicate al BDSM, quando Moss si è materializzata vicino a me. Era libera dal banesuit, ma io non lo ero – e sono stata quindi costretta a tenermi a una certa distanza da lei. Abbiamo cercato di comunicare a distanza a gesti ed è stato solo con enorme fatica che sono riuscita a spiegarle, grosso modo, quello che mi era successo: che ero prigioniera della mia tuta di lattice da ben oltre le nove ore pattuite, che c’era stato un rollback che mi aveva annullato il timer, che le volevo bene e che speravo di poterla presto riabbracciare. Ecco un esempio di conversazione a gesti fra noi due, già ripulita di tutti i rimproveri del Custodian circa il fatto che ogni tanto mi capitava di udire frammenti di conversazione. Moss è inglese, cosiì ho tradotto quanto segue in italiano.

[2008/03/21 1:47]  WinthorpeFoghorn Zinnemann saluta Moss con la mano.
[2008/03/21 1:47]  Bane Helmet: : Contact Violation. May not listen to conversations. :
[2008/03/21 1:48]  Moss Hastings ricambia il saluto al Bane
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann mima alcune lettere con le mani
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann M
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann A
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann L
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann F
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann U
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann N
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann Z
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann i
[2008/03/21 1:48]  WinthorpeFoghorn Zinnemann O
[2008/03/21 1:49]  WinthorpeFoghorn Zinnemann N
[2008/03/21 1:49]  WinthorpeFoghorn Zinnemann A
[2008/03/21 1:49]  WinthorpeFoghorn Zinnemann M
[2008/03/21 1:49]  WinthorpeFoghorn Zinnemann E
[2008/03/21 1:49]  WinthorpeFoghorn Zinnemann N
[2008/03/21 1:49]  WinthorpeFoghorn Zinnemann T
[2008/03/21 1:49]  WinthorpeFoghorn Zinnemann O
[2008/03/21 1:49]  Moss Hastings capisce
[2008/03/21 1:49]  Moss Hastings ne ha avuto uno

Ero riuscita a sentire parte della conversazione di Moss con Marine e so che anche lei ha avuto qualche problema a causa di sbalzi imprevisti di Second Life. Con lo stesso sistema ho comunicato a Moss del Rollback:

[2008/03/21 1:50]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica il suo polso sinistro
[2008/03/21 1:50]  WinthorpeFoghorn Zinnemann scuote la testa
[2008/03/21 1:50]  WinthorpeFoghorn Zinnemann N
[2008/03/21 1:50]  WinthorpeFoghorn Zinnemann O
[2008/03/21 1:50]  WinthorpeFoghorn Zinnemann T
[2008/03/21 1:50]  WinthorpeFoghorn Zinnemann I
[2008/03/21 1:50]  WinthorpeFoghorn Zinnemann M
[2008/03/21 1:50]  WinthorpeFoghorn Zinnemann E
[2008/03/21 1:50]  WinthorpeFoghorn Zinnemann R
[2008/03/21 1:50]  Moss Hastings ridacchia
[2008/03/21 1:51]  WinthorpeFoghorn Zinnemann si prende la testa fra le mani
[2008/03/21 1:51]  WinthorpeFoghorn Zinnemann disegna punto interrogativo
[2008/03/21 1:52]  WinthorpeFoghorn Zinnemann incrocia strettamente i polsi
[2008/03/21 1:53]  Moss Hastings assentisce comprensiva
[2008/03/21 1:55]  WinthorpeFoghorn Zinnemann incrocia nuovamente i polsi
[2008/03/21 1:56]  WinthorpeFoghorn Zinnemann disegna punto interrogativo
[2008/03/21 1:56]  WinthorpeFoghorn Zinnemann ti indica

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Qui cercavo di capire quanto tempo Moss fosse rimasta nel banesuit… ma farsi capire non è così semplice e lei aveva qualcos’altro da dirmi. Nel corso della mia ottava ora avevo notato che la sua amatissima Chriss Rosca era venuta a trovarla, e che fra lei e Moss si era tenuto una specie di mesto balletto in cui cercavano di capire quanto potessero restarsi vicine senza scatenare la reazione del Custodian di Moss. Alla fine, Moss ha abbracciato Chriss, una scena veramente commovente per chi, come me, sapeva che in quel momento il Custodian le stava distorcendo l’audio e il video per punizione, a causa della Contact Violation, isolandola di fatto ancora di più di quanto non fosse accaduto fino a quel momento. Non ho saputo resistere e ho scattato una foto di quell’abbraccio disperato, inviandolo a Moss sul suo account di Gmail – beccandomi una penalità dal mio Custodian. E Moss mi ha mostrato la foto, per ringraziarmi, ora che lei era libera e io ancora un Bane.

[2008/03/21 1:58]  Moss Hastings è grata per la foto
[2008/03/21 1:58]  WinthorpeFoghorn Zinnemann si tocca il cuore
[2008/03/21 1:58]  WinthorpeFoghorn Zinnemann manda un bacio
[2008/03/21 1:58]  Moss Hastings sorride

Ma io devo sapere quanto tempo è rimasta un Bane. Ne ho bisogno, per sentirmi meno sola. Insisto.

[2008/03/21 1:59]  WinthorpeFoghorn Zinnemann disegna punto interrogativo
[2008/03/21 1:59]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica il suo polso
[2008/03/21 1:59]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica te
[2008/03/21 2:02]  Moss Hastings guarda il suo Curfew

Il Curfew assomiglia a un orologio ma non lo è: è un diabolico strumento inventato da Moss e da Chriss che consente alla seconda di costringere la prima a rispettare rigide regole di coprifuoco. Quando il Curfew è attivato, anche se Chriss è offline Moss è obbligata a tornare nella sua cella ovunque si trovi. Ne parleremo, perché ne posseggo uno anche io e Samy80 muore dalla voglia di provarlo. Ma intanto devo far capire a Moss che indicando il polso intendo farle una domanda sul tempo.

[2008/03/21 2:02]  WinthorpeFoghorn Zinnemann scuote la testa
[2008/03/21 2:02]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica il PROPRIO polso
[2008/03/21 2:02]  WinthorpeFoghorn Zinnemann disegna un orologio
[2008/03/21 2:02]  WinthorpeFoghorn Zinnemann disegna un punto interrogativo
[2008/03/21 2:02]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica te
[2008/03/21 2:03]  Moss Hastings scuote la testa

Sospiro. Non è facile esprimersi a gesti, maledizione. Riprendo fiato e riprendo.

[2008/03/21 2:03]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica se stessa
[2008/03/21 2:03]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica il proprio casco
[2008/03/21 2:03]  WinthorpeFoghorn Zinnemann mostra 10 dita
[2008/03/21 2:04]  WinthorpeFoghorn Zinnemann mostra 3 dita
[2008/03/21 2:04]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica il suo polso
[2008/03/21 2:04]  WinthorpeFoghorn Zinnemann punto interrogativo
[2008/03/21 2:05]  Moss Hastings mima 13 ore?

Ohhh… l’ha capita!

[2008/03/21 2:05]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica se stessa e assentisce
[2008/03/21 2:06]  WinthorpeFoghorn Zinnemann indica te
[2008/03/21 2:06]  WinthorpeFoghorn Zinnemann mima 13
[2008/03/21 2:06]  WinthorpeFoghorn Zinnemann punto interrogativo
[2008/03/21 2:07]  Moss Hastings alza 9 dita
[2008/03/21 2:08]  WinthorpeFoghorn Zinnemann assentisce
[2008/03/21 2:08]  WinthorpeFoghorn Zinnemann mima OK!efdc519cae0b5c4b5578658ecea97a08.jpg

Insomma, malfunzionamento o meno, Moss ha scontato solo le sue nove ore e non una di più. Mi basta, e la conversazione mi ha esaurita. Moss saluta e se ne va, probabilmente a trovare Chriss per recuperare il tempo in cui sono rimaste separate.

Io gironzolo ancora un poco. Il Custodian mi fa tornare ancora una volta alla Maintenance Station per l’ennesima, sempre umiliante, procedura. Resto un po’ nei paraggi e assisto all’apparizione di qualcuno che si diverte ad avvicinare noi bane per il gusto di obbligarci alla fuga: un’altra bane che, come me, resta in attesa vicino alla Station continua, disperatamente, ad allontanarsi mentre il tipo insiste ad avvicinarlesi e a spingerla. Mi sento ribollire il sangue. Anche nel romanzo di Evil Dolly capita, a volte, che invece di essere ignorati i bane siano oggetto di persecuzione da parte di civili razzisti e malvagi, certi di restare impuniti se molestano o addirittura aggrediscono qualcuno che non ha modo di difendersi o di denunciarli. Attraggo per un poco l’attenzione del disturbatore, per distoglierlo dalla mia collega e almeno dividere con lei le punizioni inflitte dal Custodian. Per fortuna lo stronzo si stanca abbastanza presto, e vorrei tanto essermi annotata il suo nome, per fargliela pagare se e quando uscirò da questa situazione.

4707a01c1d966a91e3f54127bf4d31a8.jpgViene a trovarmi anche Sable Janus, la creatrice del primo banesuit immesso sul mercato – un ottimo prodotto di cui tornerò a parlare, ma molto diverso da quello di Marine. Anche con lei posso scambiare solo poche chiacchiere a gesti, ma le consento almeno di osservare il mio banesuit in modo da apprezzarne le differenze esteriori.

Infine torno a ManetteMatte per osservare da lontano la gente che ci bazzica. Qualcuno tenta di avvicinarsi e non riesce a capire quando io cerco di spiegare che devo mantenermi ad almeno venti metri. Qualcun altro, in particolare un certo Cielo Robbiani, si mostra più sensibile e non insiste a venirmi addosso, offrendomi amicizia. Quando riuscirò ad uscire da questa prigione di lattice avrò tanta gente nuova con cui parlare, per ringraziare della gentilezza, della comprensione, della solidarietà. Ma devo uscirne, prima. Per ora resto un pulcino che si dibatte, disperatamente, in un uovo di Pasqua in cemento armato.

 

(prossimamente: Libera)

Eudeamon

Da dove nasce l’idea dei banesuit di Marine Kelley? La risposta in un romanzo straordinario, scritto da una bambola malefica e a tutt’oggi mai pubblicato su carta.

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Il fatto che Internet sia un mezzo di comunicazione praticamente senza filtri è un’arma a doppio taglio: chiunque può facilmente pubblicare qualsiasi cosa senza censure preventive o filtri di sorta… però ciò significa anche che per trovare qualcosa di valido da leggere occorre sciropparsi pagine e pagine e pagine di roba pessima, scritta male, priva del benché minimo interesse. I siti di aspiranti scrittori che propinano le proprie modeste creazioni pullulano in qualsiasi lingua e, in genere, un romanzo disponibile solo in versione elettronica è meglio affrontarlo con beneficio di inventario.

“Eudeamon” è una delle rare, felicissime eccezioni a questa regola. Scritto nel 2005, è rimasto a tutt’oggi disponibile soltanto comeb9191461ffac56a94f1085ec55f35ba4.jpg file Word liberamente scaricabile dal suo sito internet, e credo che non l’avrei mai scoperto se la sua lettura non avesse affascinato Marine Kelley al punto da indurla a creare, per la sua linea di accessori BDSM per Second Life, quei diabolici banesuit di cui proprio in questi giorni sono la vittima volontaria. Ho scambiato qualche mail con l’autrice, che sta pensando di stamparne qualche copia a sue spese, affinché gli amici che l’hanno apprezzato possano averne una copia cartacea. Ma trovo stupefacente che nessun editore si sia ancora fatto avanti per assicurarsene i diritti, perché si tratta di un romanzo avvincente ed emozionante, narrativamente ben strutturato e, nel complesso, scritto meglio di tanta roba che si trova in commercio.

Il genere di appartenenza di “Eudeamon” è la fantascienza – quella vera, che parte da una premessa irreale ma plausibile per poi svilupparla in modo razionale esplorandone le logiche conseguenze. Ed è una fantascienza che combina la lucidità sociologica (e la capacità affabulatoria) di maestri come Frederick Pohl o Robert Sheckley con i temi cari ai pionieri del cyberpunk, da William Gibson a Neal Stephenson. Sarebbe già più che sufficiente per far drizzare le orecchie a una lettrice appassionata, ma confesso che a destare il mio interesse iniziale sono state le implicazioni feticistiche dell’idea che sta alla base della storia. E che lascerei raccontare direttamente all’autrice, traducendo per te qualche paragrafo chiave. Ascolta:

(…)    L’idea era che i criminali, invece di affollare le celle delle carceri, divenissero le proprie stesse prigioni ambulanti. I Bane, come presto vennero chiamati, erano lasciati liberi di vagare per la città come paria. La cittadinanza era tenuta a ignorarli e a trattarli come se non esistessero. In effetti, una persona poteva essere multata anche solo per aver parlato a un Bane–era una Violazione del Bando.  Nessuno poteva trattare un Bane con gentilezza o crudeltà o anche solo riconoscerli in qualunque modo. Tentare di aiutare un Bane o ospitarne uno era un crimine.
    In un tempo sorprendentemente breve, i primi Bane cessarono a tutti gli effetti di esistere agli occhi della comunità di Eudemonia. Essere messi al bando ed esclusi completamente dalla società era considerata una punizione terribile. I Bane potevano osservare la vita attorno a loro ma non prendervi alcuna parte. Non era loro permesso prendere contatto con i loro amici o con la famiglia.  Non potevano entrare in alcuna struttura, pubblica o privata, che non fosse stata prevista a quello scopo. Sensori di prossimità contenuti in ogni abito li avrebbero puniti se avessero anche solo tentato di entrare in qualche struttura o uscire dalle aree designate. Non era loro consentito nemmeno avvicinarsi troppo ad altri Bane, quindi era loro impossibile offrirsi reciprocamente conforto o compagnia. Essere un Bane significava trovarsi sempre solo nel mezzo di una città operosa.
    A rendere le cose peggiori per i Bane, il Banesuit che erano costretti a indossare li privava dell’identità e anche dell’apparenza umana: il volto nascosto dietro a un casco aderente e senza fattezze, i segni particolari celati dietro a una aderentissima seconda pelle di lattice nero. Fatte salve le differenze di genere, peso e altezza, apparivano tutti identici. Il fatto che la stretta aderenza dell’abito al corpo ne rivelasse ogni dettaglio era considerato un’ulteriore umiliazione, poiché apparivano praticamente nudi. I Banesuit proteggevano i prigionieri dagli elementi, ma si diceva che ne desensibilizzassero la pelle. Oltre al contatto con gli altri venivano loro negate anche le sensazioni del proprio corpo.
    Come parte della punizione, ma anche strumento di riabilitazione, la Ashton Technologies–gli inventori dei Banesuit–utilizzavano i più avanzati computer tecno-organici e la nanorobotica. I Custodians. Attraverso una intelligenza  artificiale semplificata, il computer che ciascun Bane portava con sé dentro al casco aveva accesso in qualche modo alle onde cerebrali del prigioniero. Seguendo un rigido codice di regole, il computer Custodian era in grado di ‘leggere’ i pensieri del soggetto e modificarne la conditta applicando punizioni fisiche. Diventava un secondino personalizzato, costantemente intento a osservare le azioni e le intenzioni di un Bane, ammonendolo o impartendogli punizioni secondo necessità. Questo eliminava la necessità di pagare qualcuno che tenesse traccia di tutti i Bane della città; i Banesuit pensavano a tutto. Il prigioniero non poteva farla franca in alcun modo, per quanto potesse essere attento o attenta. Il Custodian era sempre all’erta. Ed era in grado anche di monitorare i segni vitali per individuare possibili problemi di salute (le cure di emergenza erano il solo contatto umano consentito a un Bane nel corso della detenzione). Ignorati dall’esterno e controllati dall’interno, i Bane restavano con una vita che poteva essere solo un incubo semovente. La loro esistenza era un confino solitario e perpetuo.
(…)

Mi fermo qui. L’idea di questo vestito-trappola, capace di isolarti completamente dal mondo e di avere su di te un controllo praticamente assoluto, mi ha provocato fin dall’inizio un fremito di emozione in tutto il corpo, e inizialmente è stato l’elemento principale che mi ha avvinta al computer a leggere avidamente le 91 pagine di “Eudeamon”. Per giunta, la protagonista è un personaggio in cui mi sono identificata immediatamente: Katrina Nichols è una giornalista morbosamente affascinata dal fenomeno dei bane, e decide di avviare un’inchiesta per verificare se non si tratti di una punizione disumana e ingiusta, utilizzata indebitamente per effettuare illegalmente una sperimentazione scientifica su esseri umani.

Per saperne di più, Katrina ricorre a un espediente tipico di certi classici hollywoodiani degli anni Quaranta sui giornalisti d’assalto: d’accordo col direttore del suo giornale e con un collega, riesce a scambiare la propria identità con una ragazza in procinto di essere condannata per prostituzione e aderisce al programma legale che consente, in cambio di un 30 per cento di riduzione della pena, di optare per il banishment in luogo della tradizionale detenzione. Ma non ha fatto i conti con le caratteristiche veramente infernali del banesuit, di cui nessuno parla mai in pubblico… e che rischiano di trasformare la detenzione in una trappola autenticamente irreversibile.

fca722becca88d54a5819252ed9978ce.jpgDella trama di “Eudeamon” non ti dirò altro, perché l’inventiva perversa dell’autrice non si limita a sviluppare coerentemente la premessa, ma prende ben presto una piega completamente inaspettata e sorprendente che va molto oltre la semplice narrazione. La storia di Katrina è avvincente come un thriller ma, come nei casi migliori di fantascienza maggiorenne, è anche (e, in ultima analisi, soprattutto) uno sguardo lucidissimo su temi universali che hanno a che fare con i nostri desideri e le nostre fantasie, con la nostra percezione della realtà, con la definizione dell’identità, con i mille condizionamenti che ci impediscono di manifestare pubblicamente quello che siamo.

Il fatto che l’autrice sia un transessuale probabilmente la dice lunga su quanto i temi sollevati da “Eudeamon” siano da lei profondamente sentiti: eppure quasi mai si ha la sensazione che il romanzo perda di vista la sua lucidità di sguardo per diventare predicatorio. La possibile lettura metaforica scaturisce naturalmente dal racconto, senza la minima forzatura. E la vicenda mi ha trascinata fino all’ultima pagina attraverso una serie di emozioni che davvero non mi aspettavo di provare con tanta intensità: la paura e il desiderio del bondage, che permea tutta la prima parte, si trasforma in un senso di disperazione e di accettazione della schiavitù, per poi riservare la sorpresa di sviluppi commoventi, pieni di gioia, addirittura esaltanti… ma anche di elaborazione del lutto, desiderio di vendetta, e in ultima analisi solidarietà, amore per il prossimo, desiderio di condividere i doni più straordinari della vita – almeno con chi ha il coraggio di affrontare a viso aperto i propri desideri più segreti.

Non posso davvero dirti altro senza rovinarti l’esperienza. Ma se stai leggendo questo mio diario sospetto fortemente che tu sia il lettore ideale per questo libro. Spero che tu sia in grado di leggerlo in inglese, perché nessuno ancora l’ha tradotto. Lo trovi a questo indirizzo:http://www.evil-dolly.com/Eudeamon.doc

Ti prego, leggilo e fammi sapere cosa ne pensi. Davvero, vorrei discuterne con qualcuno che sa di cosa sto parlando. Magari in un post successivo, destinato solo a chi l’ha già letto e in cui non sia costretta a fare salti mortali per evitare di spoilerare quello che succede.

Buona lettura,

la tua Win

(prossimamente: Pasqua da bane

Rollback

In un banesuit, l’unica certezza è il momento in cui viene chiuso su di te. Tutto il resto, inclusa l’eventuale liberazione, è incerto. Soprattutto quando i server di Second Life e il tuo computer ormai un po’ ansimante ci mettono lo zampino.

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Dovevo immaginarlo.

Nel momento della procedura di trasformazione da essere umano in bane ci era stato detto che il test sarebbe durato appena nove ore. Oppure due giorni, qualora qualcuna di noi fosse rimasta online per un totale inferiore alle nove ore. Su Second Life, il tempo scorre infatti sempre su due binari: il tempo effettivo di gioco e quello della First Life, che scorre anche quando non siamo collegati alla grid.

Le implicazioni sono più complesse di quello che si può immaginare. Se siamo intrappolate da un timer di nove ore, questo significa ovviamente nove ore online. Se abbiamo appuntamento fra nove ore con qualcuno, è evidente che parliamo di nove ore normali. Ma è evidente che quando due persone vengono intrappolate da un timer di identica durata, la loro liberazione simultanea dipende dal fatto che entrambe restino online per il medesimo tempo reale. Basta un impegno nella First Life, o anche solo uno dei frequenti crash di computer, e i tempi slittano. Ne sa qualcosa Tez Welles, il cui Bondage Ordeal doveva durare sei ore di gioco e ha finito invece per prolungarsi oltre dieci giorni reali.

b5a1ed06f488dd81fd7a7414395bb056.jpgNe riparleremo, del Bondage Ordeal, ma non adesso. Adesso sono strettamente avvolta dal banesuit, da tre giorni reali e oltre quattordici ore di gioco – un totale che sembra destinato ad aumentare in modo notevole a causa di uno spiacevole incidente di percorso. Quando la dottoressa Kelley ci ha sigillate nel banesuit e ha settato i nostri timer su 9 ore, tutte noi ci siamo disperse per il mondo, per scontare la nostra sentenza nell’isolamento imposto dal Custodian. Ai bane non è consentito raggrupparsi e il meccanismo di controllo impone punizioni ogni volta che ci si trovi a una distanza inferiore ai dieci metri una dall’altra – analogamente al divieto di avvicinare qualsiasi civile. Come le altre cavie dell’esperimento, ho passato molte ore nell’isolamento più completo, impossibilitata a rispondere ai messaggi inviati dagli amici abituali, costretta a fuggire quando qualcuno mi si avvicinava per sapere come stavo, limitata a comunicare solo per momenti molto brevi e solo a gesti. Una tortura vera e propria, sempre più insopportabile via via che il tempo passava e che gli amici, delusi dalla mia impossibilità a reagire, piano piano cominciavano a diradarsi. Mi sono ridotta a teleportarmi da una sim all’altra, cercando di spiare le persone che conoscevo da lontano… sperando che mi vedessero e capissero quanto mi mancavano, e al tempo stesso cercando di non farmi vedere per non doverli sfuggire prima che il Custodian rilevasse una Violazione di Prossimità e mi punisse con la fredda efficienza per la quale è stato programmato.

Ore e ore di silenzio e di solitudine, interrotte solo dall’umiliante procedura ricorrente della visita obbligata alla Maintenance Station:2052f1077915a6a910b965cc118a8143.jpg quella in cui il mio corpo sigillato nella presa stringente del banesuit viene violato da un sondino destinato a introdurre in esso il nutrimento necessario a tenere in vita me e il Custodian, e a rimuovere le scorie prodotte dal mio corpo. Dopo tre o quattro ore, il tormento può diventare davvero intenso. Dopo sei o sette riuscivo a pensare solo che mancavano ancora appena un paio d’ore. Superate le otto ore ho rinunciato ai miei vagabondaggi, e mi sono stabilizzata vicino alla Maintenance Station, in modo da essere pronta a liberarmi e a parlarne con la dottoressa Kelley quando le nove ore fossero finalmente scattate.

Cinque minuti prima dello scadere del termine facevo fatica a stare ferma. La Kelley ci aveva fatto sapere che GothGirl Leominster, una delle dieci bane di questo esperimento, aveva da tempo completato le sue nove ore ed era già tornata in-world a vivere liberamente la sua Second Life. A tre minuti dallo scadere del termine mi sono imposta di non controllare ogni minuto il timer che procedeva, e mi sono messa ad attendere il momento del fatidico “clic”, in cui il casco si sarebbe aperto da solo.

Ma il tempo passava senza che accadesse nulla. Quando non ho saputo più resistere, ho controllato di nuovo il timer e diceva che il banesuit era chiuso da 9 ore e 3 minuti. Che stava succedendo?

La dottoressa Kelley stava conferendo con un’altra bane poco più in là. Non potevo avvicinarmi più di tanto senza che il Custodian si risvegliasse, ma riuscivo a sentire ogni tanto sprazzi di conversazione: sembrava un colloquio di debrief, in cui la bane descriveva le sue sensazioni. Ma perché non si toglieva il casco? Alla fine, ho sentito che diceva qualcosa circa il fatto di essere inglese, e come tale pronta a reggere una situazione così dura, per poi venire congedata. Senza essere liberata dal banesuit.

Poi Marine mi si è avvicinata e ha cominciato a parlarmi mediante il Vox, lo strumento che consente all’Operatore di comunicare con il bane bypassando il mutismo imposto dal Custodian. Abbiamo scambiato qualche impressione, fino a quando mi sono resa conto che la conversazione stava per finire e non si era fatto cenno alla mia liberazione. Ho chiesto alla dottoressa che cosa sarrebbe stato di me e lei mi ha detto che era una mia decisione: che le chiavi, allo scadere delle nove ore, erano tornate nelle mie mani.

Solo che non era affatto così, come ha subito verificato. Il casco era ancora strettamente chiuso, senza alcuna traccia di chiavi. Eppure io stessa ricordo benissimo il momento in cui mi era stato settato il timer. Ed è allora che abbiamo capito cosa era successo.

Rollback.

Second Life, il programma che gira sul tuo computer, intendo, va in crash spesso. Quando questo accade, a volte, si verifica il famigerato rollback: vale a dire che il logoff non è stato registrato, e che la tua situazione su Second Life viene riportata a un momento precedente a quello dell’ultimo istante di collegamento. Qualche volta puoi crashare mentre sei legata e ritrovarti libera perche’ il sistema ti riporta a prima che le manette fossero state fatte scattare sui tuoi polsi. Ma questa volta, a quanto pare, avevo crashato in modo da tornare al breve momento intercorso fra quando il banesuit mi era stato chiuso addosso, e quando era stato settato il timer. Che infatti, mi ha comunicato Marine, è settato su “infinito”. Mi sono sentita sprofondare.

Marine avrebbe potuto liberarmi ugualmente: le chiavi le ha ancora lei in quanto mio Operatore. Mi ha guardato con intenzione e haacd50c062565ec696ab9b740e0282650.jpg indicato il casco con un sorrisetto. Poi ha parlato: “Il test dura 9 ore online o due giorni reali, a seconda di quello che passa prima. Tecnicamente, le tue nove ore le hai fatte, ma è anche vero che il timer non è scattato. A te la scelta”. Ci ho pensato su un momento. Nell’ultima ora avevo già preparato un rapporto completo sulle mie esperienze ed ero ansiosa di darglielo perché potesse verificare come stesse andando l’esperimento: “Potrei completare i due giorni… ma se resto bloccata qui dentro non posso passarti gli appunti”. Marine ha risposto subito: “Gli appunti possono aspettare”.

Che dovevo fare? Ho dichiarato nel mio profilo su SL di non avere limiti, di essere pronta ad accettare qualsiasi sorte. E dentro di me ho deciso di non usare mai la safeword.

Marine ha sorriso. Mi ha salutata. Ha disattivato il Vox, rendendomi nuovamente muta al mondo. Poi si è allontanata: c’era un altro bane che aveva appena finito le sue nove ore e che doveva essere liberata.

(prossimamente: “Eudeamon”)