A Francesca Miles

Più o meno 24 ore dopo aver avuto l’ordine di scriverla, ecco il prodotto di qualche ora di insonnia ma, soprattutto, di emozioni molto forti vissute solo in parte a causa di una RL sempre, inevitabilmente, tiranna. Dei versi artificiosi, forse, ma completamente sinceri in quello che cercano di comunicare. E che sono stati consegnati a Chiara Haalan durante una connessione molto fugace, dall’ufficio, mentre fuori dalla casa di Moordon in cui Win era tenuta prigioniera si erano da qualche ora asserragliate forze d’attacco del WCF pronte a scatenare l’inferno.


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A Francesca

 

Ti ho vista, ti ho acchiappata, ti ho tenuta
per qualche ora, forse neanche un giorno
e fosti come mia, legata, muta,
capelli e fiore rossi, mentre attorno
avevo dolci amiche, prigionieri,
turisti, s’una spiaggia ch’era un forno,
e Lella, senza i suoi stivali neri.

 

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Molt’acqua è poi passata sotto al ponte
che gli oggi nostri ognora muta in ieri
fin quando ognuna, sola, su Acheronte,
debba salpar. Ma delle nostre strade
da allora si incrociarono le impronte.
Se Fato le occasioni facea rade
la Volontà era pronta a rimediare.
Non ci fu, forse, mulinar di spade
a fianco una dell’altra, ma più care
d’ogni avventura sono certe storie
che solo il metaverso può ospitare.

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Per chi non sa, null’altro son che scorie
quei giochi nostri di manette e celle,
e di sconfitte dolci, e ambigue glorie,
e corde, e il lattice come seconda pelle.
Per noi quel mondo, che talun spaura
è forte sì da renderci sorelle,
amiche, amanti: ché non c’è tortura
peggior di soffocare nella culla
le proprie fantasie. Ah! Com’è dura
la sorte di una povera fanciulla
che se si pensa presa e prigioniera
sente il cuor suo che all’impazzata rulla.

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Francesca, lo sapevi, e l’altra sera,
venuta ad abbracciarmi alla prigione,
scattasti con l’audacia di una fiera
cogliendo (anzi creando) l’occasione.
In ceppi mi hai costretta in pochi istanti,
travolta di sorpresa e d’emozione,
sì che da pochi son poi stati tanti
gli attimi che ho rubato a quella notte.

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Tu, Chiara e Travestroia, le Baccanti,
con DoctorLover, François la mascotte,
non mi avete lasciato alcuno scampo,
avvinta come certe galeotte.
haalan4.jpgSol che ci pensi tutta in viso avvampo
non tanto perché nuda tu mi hai esposta
nel tuo salotto. No! Perché in un lampo
sapesti ritrovar sotto la crosta
la Win che china il capo in soggezione.
Tu mi parlavi, e lo facevi apposta,
come le spire avvolge un gran pitone
attorno al coniglietto ipnotizzato
di cui si sta per fare un sol boccone.
Fui tua, sospesa al minimo tuo fiato,
fin quando fui connessa, ed anche dopo,
col mio pensiero ch’era imprigionato
da un gatto che giocava con un topo.
Legata, priva ancor della favella,
spogliata di un futuro e di uno scopo
che non ti contemplasse, proprio in quella
sentii una nuova forza nella schiena.

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Dei volti. Nomi. Sussultai. “Frough! Lella!”
E ancor: “Lorella! Andromeda! Jelèna!”
Lo so: la vita vera ci è di freno
in questi tempi, ché per tutte è piena,
ma non per questo può venire meno
l’amor con cui codesti miei gioielli
coloran la mia vita arcobaleno.

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Francesca, tu puoi farmi anche a brandelli,
tenermi al tuo guinzaglio come i cani,
mi puoi stringere il cuore od i capelli,
negarmi ancora l’uso delle mani…
ma adesso so per certo: sottomessa
tu non mi avrai nè oggi nè domani.
Più facile sarebbe farmi lessa,
perché color di cui tengo la chiave
mi rendono più forte di me stessa.

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Io non mi piegherò, Francesca. Cave!
Dirtelo voglio grata, e con dolcezza,
ma intendo andare con la prima nave.
Flettermi non potrai: sol mi si spezza
se troppo vien tirata la catena.
Ma allor gaudio e emozione alla tristezza,
all’odio ed al rancor lascian la scena.
Sei pronta pure a ciò? Come in un fuoco
tu puoi bruciarmi tale e qual falena
ma l’esito finale di quel giuoco
sarebbe devastante, e molto amara
la vita mi farebbe. Qui t’invoco:
quello ch’è rotto più non si ripara
e d’uopo e che qui te ne faccia accorta
con questi versi che mi ha chiesto Chiara.

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Francesca Miles: vuoi tu vedermi morta?
Spero e credo di no ma se sì fosse
non hai che da tener chiusa la porta
e stringermi il collar senza più mosse.
Io sento la distanza delle amiche
che sono mie. Lo dico a gote rosse
ma a fronte alta: tutte le fatiche
per prendermi fra le tue damigelle
non otterran l’alloro della Nike.
Giammai potrò scordar quell’ore belle
in cui mi desti ciò cui in parte anelo.
Ma ora lasciami andar, verso le stelle
che, pur di pixel, brillano nel cielo.

Win

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