Baci e abbracci. E corde.

Il Custodian, alla fine, mi ha lasciata libera e l’evento è stato molto meno angoscioso di quello che potevo temere. Grazie agli amici, ai baci e agli abbracci. E a un nuovo atteggiamento ispirato dai giorni dell’isolamento.

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Spikeheel Starr era stata presente quando, per errore, mi sono chiusa addosso il banesuit di Serenella. E ci ha tenuto molto ad esserci quando la sentenza si concludeva. Nei giorni in cui il mio isolamento era completo, il Vox che ha inventato le consentiva di essere la sola a potermi parlare. Io non avevo modo di risponderle, ma questa sua invenzione le ha permesso di diventare il mio amichevole Eudeamon personale e inviarmi sempre qualche parola di conforto, o anche solo un saluto, quando mi vedeva apparire online. E, in mancanza di tempo, quantomeno mi ha sempre mandato un abbraccio a distanza. Quando il casco si è aperto, quindi, era lì accanto a me. Mi ha abbracciata stretta, e mi ha anche invitata a casa sua per fare due chiacchiere fra amiche, scambiandoci confidenze su ciò che in passato ci aveva fatto del male. E tenendoci, in tutta innocenza, strette una all’altra per un poco.

1563635438.jpgÈ stato bello e mi ha fatto riflettere. Si ha tanto tempo per riflettere, quando ci si trova chiusi nel banishment, e spesso finisce che si pensa a quello di cui più sentiamo la mancanza. Anche un banesuit come quello di Serenella (abbastanza sui generis, visto che ti impedisce di essere davvero sola) ti toglie soprattutto la libertà di interagire con gli altri per via testuale. E in quei giorni – nei quali tutto quello che mi restava erano i gesti , No, Inchino, Tu, Io e Saluto – ho capito che a mancarmi era soprattutto un gesto che potevo attivare solo mediante quella chat pubblica che mi era ora preclusa. E quel gesto era Abbraccio. Potevo, questo sì, ricevere abbracci altrui: ma sono ben pochi quelli che osano proporre un abbraccio a un bane, forse perché l’assenza del volto li intimidisce, forse perché temono di indurti a violazioni punite con un’estensione di pena. E invece Dio sa quanto, in questa situazione, li desiderassi, gli abbracci altrui. Quanto anelassi a un contatto umano, a questo modo di esprimere affetto, di farti sentire non dimenticata o emarginata – non esclusa dal resto del mondo. Un Master che non conoscevo, in visita sul patio di Stonehaven, ha anche chiesto ad alta voce a qualcuno se un bane potesse ricevere un abbraccio – e io ho cominciato freneticamente a fare cenni di sì con la testa, applaudire e cercare di esprimere un assenso. Ma, per quanto mi sforzassi, il messaggio non è arrivato – e nessuno ha osato abbracciarmi, nemmeno quel curioso sconosciuto.

465746369.jpgUna volta uscita dal banishment, fra le braccia di Spikey, ho messo meglio a fuoco la cosa: ci si abbraccia moltissimo, su Second Life – o almeno lo si fa spesso nelle aree di Second Life in cui passo il mio tempo io. Si abbraccia qualcuno per esprimere la felicità di rivederlo, per ringraziarlo di esserci stato vicino – in un momento difficile o in un momento di felicità. Ma si abbraccia, a volte, anche la persona che hai legato e tormentato per ore… un modo non tanto di chiederle scusa, ma di ricordarle che quello che le hai fatto era dettato da affetto, amicizia o amore. Quell’amore strano che viviamo nelle land BDSM, declinato nei toni di una apparente sopraffazione dell’altro, la cui paura può diventare gratitudine quando il rapimento, la cattura, l’umiliazione sanno sfiorare i limiti estremi, e magari anche superarli un poco, ma senza perdere quel sottile e fragilissimo equilibrio che distingue un buon roleplay dal cosiddetto griefing – ossia il tentativo intenzionale di fare del male, di ferire, di disturbare.

448589002.2.jpgNei giorni in cui, da bane, avevo riavuto dal Custodian la facoltà di interagire con l’ambiente circostante, di gente ne ho catturata parecchia. E quasi tutti, quando sono tornata libera, sono tornati a cercarmi, confessandomi di aver avuto molta paura di me, all’inizio – visto che con quel casco apparivo implacabile e fredda – ma di essersi poi sorpresi a provare una strana nostalgia per l’avventura. Perché penso che abbiano sentito che le corde con cui quel bane indisciplinato li legava erano, a modo loro, abbracci. Avvolgenti, spietati, limitanti… ma alla fine in grado di far sentire qualcosa di profondamente emozionante.

Ecco, se quest’ultimo banishment mi ha insegnato qualcosa è stato a capire meglio l’importanza dell’abbraccio. Non solo quello del gadget che abbiamo tutti, con il quale basta scrivere Hug Pincopallo per offrirgli di farsi stringere fra le nostre braccia: no, anche l’abbraccio delle corde, o quello di un IM anche fugace. Qualsiasi cosa ricordi al destinatario che ci ricordiamo di lui, che siamo contenti di vederlo o anche solo di sentirlo. Perché, mi sono resa conto, troppo spesso la timidezza ci chiude nel nostro avatar e ci impedisce di salutare gli altri. Togliendoci chissà quante belle occasioni di interazione. Mi ha molto colpita, qualche giorno fa, un post di Erikah sul suo bel blog in inglese, nel quale diceva chiaramente di aver sofferto di noia e solitudine per una percentuale altissima del suo tempo recente su Second Life. Mi sono sentita in colpa: Erikah è capitata a Stonehaven subito dopo l’apertura del mio Custodian, e mi ha invitata a casa sua perché potessi cambiare, al riparo di sguardi indiscreti, gli abiti che indossavo ormai da una settimana. Ma nelle ore e nei giorni immediatamente successivi, sebbene varie volte sia andata a sbirciare dove si trovasse sulla mappa, non le avevo scritto perché l’avevo immaginata con la sua partner, Asuka, e non le volevo disturbare. Invece Asuka era offline, azzoppata da gravi problemi di connessione – e io ho capito di aver sciupato diverse occasioni di andare a fare finalmente due chiacchiere con una persona interessante. Mentre lei si annoiava, io facevo altrettanto restandomene per ore, da sola, a Zhora – in teoria a vedere se qualche candidato bane si faceva vedere per essere sottoposto alla procedura… in realtà a sperare che qualcuno si facesse vivo per un salutino anche veloce. Senza che dovessi essere io a fare il primo passo.

983200471.jpgQuante volte restiamo ognuna chiusa nel suo avatar, facendoci paralizzare dalla soggezione o dalla paura di disturbare? Ne parlavo qualche giorno fa durante una lunga chiacchierata notturna con una delle mie tante occasioni perdute. Ho passato su SL mesi a… beh, a cercare di rendermi interessante perché fossero gli altri a fare il primo passo – eppure le persone con cui ho sviluppato un qualche tipo di rapporto, con solo un paio di spettacolari eccezioni, sono quelle verso cui mi sono mossa io per prima. A Erikah, nel suo blog, ho scritto “tendiamo ad aver paura a contattare gli altri perché abbiamo paura di seccarli… e a volte si scopre che anche loro fanno lo stesso – così ognuno resta dove sta a sentirsi triste. Basta! Abbiamo bisogno di persone, abbiamo bisogno di abbracci, e abbiamo bisogno di corde! Andiamocele a prendere!”

1465458560.jpgE allora ecco forse perché, nei giorni trascorsi da quando il mio casco mi ha lasciata di nuovo libera, sono stata particolarmente attiva e al tempo stesso più rilassata. Gabriel Garcia Marquez ha intitolato la sua biografia “Vivere per raccontarla”. Io, più modestamente, ho cercato di smettere per un po’ di raccontarla, questa mia seconda vita, proprio per poter vivere – per provare a non sentirmi condizionata e cercare di ritrovare emozioni più impalpabili. Ho scoperto una Win in parte nuova, meno rigida, meno ansiosa di vivere sempre l’avventura irripetibile, più pronta a fare quel famoso primo passo, magari con la sola prospettiva di un breve scambio di battute. Ho vissuto qualche prima volta che mi ha fatto di nuovo battere forte il cuore nel senso buono – non per l’ansia, la gelosia o, ancor peggio, l’invidia. Esito ancora a parlarne, perché dal di fuori possono sembrare piccole cose. Ma dall’interno non lo sono affatto e, dopotutto, queste pagine le scrivo soprattutto per me. Per ripensare, rileggere, rivivere e, chissà, un giorno capire meglio.

Ma ci penserò domani. Per oggi vorrei mandare un abbraccio a chi legge, un abbraccio a chi sa lasciarsi abbracciare. E un abbraccio, in particolare, a chi sa abbracciare gli altri. Anche e soprattutto quando mi chiede per favore di non fare troppo spesso il suo nome su questo blog.

(Prossimamente: Batticuori)