Rollback

In un banesuit, l’unica certezza è il momento in cui viene chiuso su di te. Tutto il resto, inclusa l’eventuale liberazione, è incerto. Soprattutto quando i server di Second Life e il tuo computer ormai un po’ ansimante ci mettono lo zampino.

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Dovevo immaginarlo.

Nel momento della procedura di trasformazione da essere umano in bane ci era stato detto che il test sarebbe durato appena nove ore. Oppure due giorni, qualora qualcuna di noi fosse rimasta online per un totale inferiore alle nove ore. Su Second Life, il tempo scorre infatti sempre su due binari: il tempo effettivo di gioco e quello della First Life, che scorre anche quando non siamo collegati alla grid.

Le implicazioni sono più complesse di quello che si può immaginare. Se siamo intrappolate da un timer di nove ore, questo significa ovviamente nove ore online. Se abbiamo appuntamento fra nove ore con qualcuno, è evidente che parliamo di nove ore normali. Ma è evidente che quando due persone vengono intrappolate da un timer di identica durata, la loro liberazione simultanea dipende dal fatto che entrambe restino online per il medesimo tempo reale. Basta un impegno nella First Life, o anche solo uno dei frequenti crash di computer, e i tempi slittano. Ne sa qualcosa Tez Welles, il cui Bondage Ordeal doveva durare sei ore di gioco e ha finito invece per prolungarsi oltre dieci giorni reali.

b5a1ed06f488dd81fd7a7414395bb056.jpgNe riparleremo, del Bondage Ordeal, ma non adesso. Adesso sono strettamente avvolta dal banesuit, da tre giorni reali e oltre quattordici ore di gioco – un totale che sembra destinato ad aumentare in modo notevole a causa di uno spiacevole incidente di percorso. Quando la dottoressa Kelley ci ha sigillate nel banesuit e ha settato i nostri timer su 9 ore, tutte noi ci siamo disperse per il mondo, per scontare la nostra sentenza nell’isolamento imposto dal Custodian. Ai bane non è consentito raggrupparsi e il meccanismo di controllo impone punizioni ogni volta che ci si trovi a una distanza inferiore ai dieci metri una dall’altra – analogamente al divieto di avvicinare qualsiasi civile. Come le altre cavie dell’esperimento, ho passato molte ore nell’isolamento più completo, impossibilitata a rispondere ai messaggi inviati dagli amici abituali, costretta a fuggire quando qualcuno mi si avvicinava per sapere come stavo, limitata a comunicare solo per momenti molto brevi e solo a gesti. Una tortura vera e propria, sempre più insopportabile via via che il tempo passava e che gli amici, delusi dalla mia impossibilità a reagire, piano piano cominciavano a diradarsi. Mi sono ridotta a teleportarmi da una sim all’altra, cercando di spiare le persone che conoscevo da lontano… sperando che mi vedessero e capissero quanto mi mancavano, e al tempo stesso cercando di non farmi vedere per non doverli sfuggire prima che il Custodian rilevasse una Violazione di Prossimità e mi punisse con la fredda efficienza per la quale è stato programmato.

Ore e ore di silenzio e di solitudine, interrotte solo dall’umiliante procedura ricorrente della visita obbligata alla Maintenance Station:2052f1077915a6a910b965cc118a8143.jpg quella in cui il mio corpo sigillato nella presa stringente del banesuit viene violato da un sondino destinato a introdurre in esso il nutrimento necessario a tenere in vita me e il Custodian, e a rimuovere le scorie prodotte dal mio corpo. Dopo tre o quattro ore, il tormento può diventare davvero intenso. Dopo sei o sette riuscivo a pensare solo che mancavano ancora appena un paio d’ore. Superate le otto ore ho rinunciato ai miei vagabondaggi, e mi sono stabilizzata vicino alla Maintenance Station, in modo da essere pronta a liberarmi e a parlarne con la dottoressa Kelley quando le nove ore fossero finalmente scattate.

Cinque minuti prima dello scadere del termine facevo fatica a stare ferma. La Kelley ci aveva fatto sapere che GothGirl Leominster, una delle dieci bane di questo esperimento, aveva da tempo completato le sue nove ore ed era già tornata in-world a vivere liberamente la sua Second Life. A tre minuti dallo scadere del termine mi sono imposta di non controllare ogni minuto il timer che procedeva, e mi sono messa ad attendere il momento del fatidico “clic”, in cui il casco si sarebbe aperto da solo.

Ma il tempo passava senza che accadesse nulla. Quando non ho saputo più resistere, ho controllato di nuovo il timer e diceva che il banesuit era chiuso da 9 ore e 3 minuti. Che stava succedendo?

La dottoressa Kelley stava conferendo con un’altra bane poco più in là. Non potevo avvicinarmi più di tanto senza che il Custodian si risvegliasse, ma riuscivo a sentire ogni tanto sprazzi di conversazione: sembrava un colloquio di debrief, in cui la bane descriveva le sue sensazioni. Ma perché non si toglieva il casco? Alla fine, ho sentito che diceva qualcosa circa il fatto di essere inglese, e come tale pronta a reggere una situazione così dura, per poi venire congedata. Senza essere liberata dal banesuit.

Poi Marine mi si è avvicinata e ha cominciato a parlarmi mediante il Vox, lo strumento che consente all’Operatore di comunicare con il bane bypassando il mutismo imposto dal Custodian. Abbiamo scambiato qualche impressione, fino a quando mi sono resa conto che la conversazione stava per finire e non si era fatto cenno alla mia liberazione. Ho chiesto alla dottoressa che cosa sarrebbe stato di me e lei mi ha detto che era una mia decisione: che le chiavi, allo scadere delle nove ore, erano tornate nelle mie mani.

Solo che non era affatto così, come ha subito verificato. Il casco era ancora strettamente chiuso, senza alcuna traccia di chiavi. Eppure io stessa ricordo benissimo il momento in cui mi era stato settato il timer. Ed è allora che abbiamo capito cosa era successo.

Rollback.

Second Life, il programma che gira sul tuo computer, intendo, va in crash spesso. Quando questo accade, a volte, si verifica il famigerato rollback: vale a dire che il logoff non è stato registrato, e che la tua situazione su Second Life viene riportata a un momento precedente a quello dell’ultimo istante di collegamento. Qualche volta puoi crashare mentre sei legata e ritrovarti libera perche’ il sistema ti riporta a prima che le manette fossero state fatte scattare sui tuoi polsi. Ma questa volta, a quanto pare, avevo crashato in modo da tornare al breve momento intercorso fra quando il banesuit mi era stato chiuso addosso, e quando era stato settato il timer. Che infatti, mi ha comunicato Marine, è settato su “infinito”. Mi sono sentita sprofondare.

Marine avrebbe potuto liberarmi ugualmente: le chiavi le ha ancora lei in quanto mio Operatore. Mi ha guardato con intenzione e haacd50c062565ec696ab9b740e0282650.jpg indicato il casco con un sorrisetto. Poi ha parlato: “Il test dura 9 ore online o due giorni reali, a seconda di quello che passa prima. Tecnicamente, le tue nove ore le hai fatte, ma è anche vero che il timer non è scattato. A te la scelta”. Ci ho pensato su un momento. Nell’ultima ora avevo già preparato un rapporto completo sulle mie esperienze ed ero ansiosa di darglielo perché potesse verificare come stesse andando l’esperimento: “Potrei completare i due giorni… ma se resto bloccata qui dentro non posso passarti gli appunti”. Marine ha risposto subito: “Gli appunti possono aspettare”.

Che dovevo fare? Ho dichiarato nel mio profilo su SL di non avere limiti, di essere pronta ad accettare qualsiasi sorte. E dentro di me ho deciso di non usare mai la safeword.

Marine ha sorriso. Mi ha salutata. Ha disattivato il Vox, rendendomi nuovamente muta al mondo. Poi si è allontanata: c’era un altro bane che aveva appena finito le sue nove ore e che doveva essere liberata.

(prossimamente: “Eudeamon”)

Prigioniera di me stessa

Le catene più stringenti sono quelle che ci fabbrichiamo da soli, dice qualcuno. Fai attenzione a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo, dicono altri. Ma cosa succede quando si desiderano catene a prova di fuga?

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L’ho fatto.

Da ieri sera non sono più Winthorpe Foghorn Zinnemann, la fanciulla dal nome impossibile, sempre pronta a chiacchierare con tutti, e quasi sempre nei guai.

Da ieri sera sono W-1007, uno degli undici bane di Marine Kelley.63ddf344000bfc85a789f372ba374d60.jpg

Tutto il mio corpo è ricoperto da un sottile e impenetrabile strato di lattice nero. Tutto: inclusi la lingua e il palato. Tutti i sensi mi sono stati tolti completamente e sostituiti da un’interfaccia elettronica. Il casco che mi è stato saldato attorno alla testa controlla completamente i miei contatti con l’esterno. Ho dovuto indossare lenti a contatto che mi accecano, e percepisco il mondo attorno a me solo attraverso i segnali neurali che il mio Custodian invia direttamente al mio cervello. Non posso sentire la voce di chi mi parla, ma solo i suoni che il Custodian decide di farmi arrivare. Non posso parlare con alcuno: nemmeno con la dottoressa Marine Kelley, la creatrice della diabolica invenzione che mi terrà prigioniera fino allo scadere della sentenza.

Sto testando il suo banesuit, sicuramente la più estrema e raffinata forma di bondage fin qui elaborata su Second Life. Un banesuit, a tutti gli effetti, è una prigione che si indossa. Sei libera di muoverti (sia pure con una serie di restrizioni) ma sei completamente controllata dal Custodian, un operatore automatico in grado di sanzionare istantaneamente qualsiasi tipo di violazione dei protocolli restrittivi che mi sono imposti. E, nel caso di violazione, di estendere unilateralmente e in modo inappellabile, il tempo della sentenza.

La partecipazione a questo programma può sembrare a qualcuno un incubo, e probabilmente lo è. Ma è anche un privilegio e un onore. Per essere scelte come cavie abbiamo scritto a Marine non appena lei ha annunciato che stava cercando dieci vittime per l’ultimo test. Chi ce l’ha fatta ora è al tempo stesso oggetto di compatimento e di invidia nella comunità di appassionati di bondage di Second Life, e gli amici si affollano attorno a noi per avere notizie. Ma noi non possiamo rispondere: anche la sola prossimità con un civile è sanzionata severamente e quando qualcuno ci si avvicina riceviamo immediatamente l’ordine di allontanarci ad ogni costo. Le punizioni sono terribili, anche solo in questa fase di test.

Perché tutto questo? Perché sono entrata in un gioco “sociale” come Second Life, fatto di interazione con altri avatar, e poi ho quasi sempre fatto il possibile per essere legata, imprigionata, posseduta da qualcuno e, infine, completamente isolata da tutti? Forse è anche per cercare di scoprirlo che avvio questo piccolo diario… E anche per annotare da qualche parte quello che succederà nei prossimi giorni, ricostruendo in una serie di flashback quello che è successo fino a questo momento… Tutto quello che mi ha portata a diventare un bane senza volto, senza voce e senza nome.
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Grazie di essere arrivato a leggere fin qui. Se hai qualche curiosità, chiedi senza problemi. Qui oppure anche su Second Life: se hai un avatar e ti va di passarmi a trovare, sarei felice di incontrarti. Anche se, finché resto un bane, è probabile che sia obbligata ad allontanarmi in fretta, per evitare la punizione.

(prossimamente: Rollback)