Rimorsi

Quando i limiti vengono superati, bisogna capirlo e cercare di porvi rimedio ad ogni costo. E se quel che si è spezzato non si può sempre aggiustare, bisogna essere pronti a offrire un risarcimento.

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In tutta questa brutta storia di bane e di abusi, quello che segue è il post più difficile da scrivere. Non tanto o non solo perché mi costi fatica ammettere di aver sbagliato, anzi. Nella nevrosi di voler sempre fare la scelta giusta, lo confessavo a Malbert durante una lunga chiacchierata negli ultimi istanti del suo banishment, l’essere costretta a prendere atto di aver fatto qualcosa di inequivocabilmente sbagliato mi dava semmai un senso quasi di liberazione: troppe volte cerco di comportarmi in modo da – beh, non da mettermi su un piedistallo, ma da fare in modo che mi ci mettano gli altri. Dover ammettere di essermi comportata in un modo che, sicuramente, avrei stigmatizzato negli altri non era solo una nuova (e sempre preziosa) lezione di umiltà: è stato anche un momento che, nel dimostrarmi quanto fossi lontana dal comportamento impeccabile che mi piccavo di tenere sempre, mi riportava a terra, nel fango umano dei miei errori, in una vita che non può rifugiarsi in regole prefissate ma che deve accettare la possibilità di fare la scelta sbagliata.

eudeamon maglietta_001.jpgE allora perché cominciare a scrivere queste righe è stato così arduo? Perché sono passate quasi quattro settimane dai fatti che devo raccontare prima che riuscissi a farlo? Perché sono venti volte che scrivo e cancello, che inizio e interrompo, che ricomincio da capo il post senza riuscire a trovare da che parte affrontarlo? E perché, a due settimane dalla conclusione del mio banishment, ancora oggi non ho avuto il coraggio di uscire dalla pelle di lattice nero che mi è rimasta attaccata addosso come una cattiva coscienza? Forse perché, questa volta, le scelte che ho fatto o che mi sono costretta a fare in-world nascevano da un disagio molto reale, concreto e niente affatto limitato al metaverso.

Snarkritorno_001.jpgParliamo spesso di Second Life come di una grande piattaforma per un immenso gioco di ruolo, ma abbiamo visto già varie volte come questa definizione del metaverso sia largamente insufficiente. Rispetto al gioco tradizionale, l’identificazione che abbiamo con il nostro avatar in-world è molto, molto più forte: sia per via dell’elemento visivo (ci vediamo, ci percepiamo nello spazio virtuale e rispetto ai nostri interlocutori in modo cinematografico e quindi estremamente coinvolgente) sia a causa del fatto che, a differenza dei giochi di ruolo più tradizionali (dai vari Dungeons and Dragons – con tutti i titoli più o meno affini scaturiti in seguito – fino a quelli online come, immagino senza averlo mai esplorato personalmente, World of Warcraft) Second Life non ti offre alcun tipo di binario da seguire. Su Second Life non abbiamo reami da conquistare, draghi da uccidere, missioni da compiere: esiste solo quello che ci viene voglia di fare, o che ci viene proposto dalle persone che abbiamo scelto di frequentare. Proprio come avviene in quella cosiddetta vita reale i cui ricordi, soprattutto per noi tossici del metaverso, sempre più spesso sono affiancati da ricordi molto nitidi di quello che abbiamo vissuto nei labirinti della Linden Lab.

Snark_001.jpgL’abbiamo già visto in passato: il gioco di ruolo (o RP, da Role Playing game) ha dei limiti ben precisi. Ma mai prima di adesso mi ero resa conto chiaramente di dove questi limiti si possono individuare con una certa esattezza e credo di poter dire, adesso, di averlo capito. Il RP deve essere condotto con tanta maggior cautela quanto più quel che si fa nel metaverso corrisponde a quanto si potrebbe fare nella vita reale. Complicato? L’ho detto che questo è un post difficile da scrivere.

W-1007_001.jpgProvo a spiegarmi meglio. Su Second Life sono andata a caccia di zombi, ho esplorato il mondo dei puffi, ho volato in mongolfiera, su un tappeto e anche a corpo libero, mi sono teletrasportata. Sono stata rapita e ridotta in schiavitù, ho rapito e ridotto in schiavitù. Ma tutte queste cose, descritte in questo modo, non sono di per sè le esperienze che mi lasceranno i ricordi più intensi. Non pretendo di parlare per tutti i miei colleghi residenti del metaverso, ma quel che tiene me su Second Life sono le emozioni, le amicizie e le inimicizie, gli amori e gli odi – tutti quei casi in cui, nel bene o nel male, senti di aver toccato l’anima di qualcuno pur sapendo che nella Vita Reale non lo incontrerai mai.

waiting_002.jpgQuando tocchi l’anima di qualcuno, quando capisci di aver provocato una reazione emotiva, non fa differenza se questo accade nella Prima o nella Seconda Vita, nè quali siano le motivazioni di RP che ti hanno spinta a comportarti in un certo modo. Alla fine del gioco, quando spegni Second Life, resta il fatto concreto che, da qualche parte nel mondo, qualcuno ha provato qualcosa a causa di una tua azione. Ed è con questo, solo con questo, che ti devi confrontare: non con la coerenza di una data azione col personaggio che in parte sei e solo in minima parte interpreti.

Ho fatto del male, in passato, ad alcune persone, ma avevo sempre trovato rifugio per la mia coscienza nella coerenza del RP. Questa volta no. È vero, quello che avevo commesso nei confronti di Malbert, ma ancor più di Gloria e, in misura ancora maggiore, di AlexyaPan (che, dopotutto, non aveva scelto di entrare nella faccenda del banishment e che ero stata io a coinvolgere) era un comportamento che aveva una sua coerenza nella vita di Win: dopo tutto, erano molti mesi che lavoravo come Bane Operator e che desideravo assistere alla nascita di un Eudeamon… dopo tutto, quei due bane non erano al di sopra di ogni sospetto… dopo tutto, nei confronti di Gloria avevo anche quella antica vendetta da compiere, eccetera eccetera. Però, alla fine dei dopo tutto, la verità che dovevo affrontare era che, coerente o meno con le premesse, diciamo, narrative, di tutta questa avventura, non ero contenta di come mi ero comportata. Giustificarmi con i motivi del mio comportamento non ne avrebbe mutato in nulla il contenuto, e sarebbe stato solo un tentativo vano e vile di declassare la faccenda a una questione di scelte narrative, senza tener conto del fatto che i personaggi erano persone vere. Nel “gioco”, io avevo compiuto un esperimento e un abuso. Nella realtà avevo fatto assaggiare a qualcuno una speranza per poi divertirmi a toglierla.

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Non so se e quanto queste situazioni avvengano anche al di fuori dell’ambiente BDSM di Second Life. Certo è che il Restrained Life Viewer (anzi, il Restrained Love Viewer, dato che a partire dal prossimo aggiornamento sarà questo il nuovo nome del RLV) consente, nei confronti degli avatar che lo utilizzano, un potere di manipolazione emozionale difficilmente immaginabile da chi non lo ha provato. Un potere che implica un senso di responsabilità forte che a me, in questo caso, aveva sicuramente fatto difetto. Una breve conversazione con Gloria mi ha confermato questa sensazione: avevo esagerato e dovevo rimediare ad ogni costo. Ma allo stesso tempo non dovevo in alcun modo scaricare l’interruzione del banishment, o il brusco cambio di rotta dell’avventura, sulle persone con le cui emozioni avevo giocato in modo così superficiale: il banishment può essere, per certe persone, un’esperienza straordinariamente intensa e travolgente e interromperlo con una decisione OOC avrebbe significato svuotare di significato tutte le ore che Malbert e Gloria avevano già scontato.

soprawinsconsin_002.jpgsoprawinsconsin_003.jpgsoprawinsconsin_004.jpgsoprawinsconsin_005.jpgsoprawinsconsin_006.jpgC’era una sola onorevole via di uscita: confessare il crimine che avevo commesso alla Kelley Technologies, liberare i due bane e affrontare qualsiasi destino ne fosse seguito. Ho scritto una lettera, l’ho spedita alla dottoressa Kelley, all’Engineer e Operatore Green Geary e, per conoscenza, a entrambi i miei bane – ben sapendo che questi ultimi non avrebbero potuto leggerla fino al momento della loro liberazione, dato che il loro inventario era bloccato dal Custodian. La traduco qui, per i pochi che non sapessero l’inglese:

Mi chiamo WinthorpeFoghorn Zinnemann e da oltre un anno e mezzo sono una Bane Operator alla Kelley.

Fra gli altri, sono stata l’Operatrice di Gloria Oppewall e Malbert Greenfield, rispettivamente bane G-7328 e bane M-4876.

Confesso di aver arbitrariamente esteso la loro sentenza, più di una volta, oltre il giudizio dei loro Custodian. Non sono sicura di quante ore abbia aggiunto ma sono certa di aver allungato la durata della loro pena di almeno 48 hours. Benché avessi le mie ragioni, non cercherò di giustificarmi. Ho abusato della fiducia della Kelley Tech e ho tradito la causa della giustizia.

OOC: sebbene abbia effettuato ogni estensione secondo un RP, oggi ho capito di aver esagerato. Per questo motivo, e nel tentativo di rimediare, ho avvertito entrambi i bane che intendo liberarli oggi all’interno del laboratorio. Questo darà loro, almeno, un’esperienza che ben pochi bane della Kelley Tech hanno avuto fino ad oggi, poiché in genere il tempo scade mentre l’Operatore si trova offline.

Questa lettera è per certificare che nessuno di quei bane ha mai barato e che pertanto ad entrambi spetterà il rimborso previsto anche qualora i loro Custodian fossero rossi [Nota: se aperto, barando, prima del tempo, il Custodian si autodistrugge e diventa rosso per segnalare l’abbandono]. Questa sera aprirò personalmente i loro Custodian e darò loro una copia di questo messaggio.

Sono pronta ad affrontare le conseguenze delle mie azioni, senza condizioni.

Per quello che vale, chiedo scusa del mio comportamento,

WinthorpeFoghorn Zinnemann


Qui di seguito, la risposta della dottoressa Kelley:

[9:39] Marine Kelley: Grazie di avermi informata, terrò a mente i nomi in modo che al loro rilascio sia applicata la procedura normale. Ma per quanto ti riguarda… conosci le regole. Agli Operatori colpevoli di abuso dovranno essere ricordati gli effetti delle loro azioni facendo loro condividere il fato delle vittime dell’abuso con un Banishment di 24 ore. A questa decisione non ci si può appellare e un altro Operatore si occuperà di te quanto prima. Solo in questo modo potrai espiare la colpa.

waiting_001.jpgQuel che è accaduto dopo, già documentato con una registrazione integrale in questo post di Malbert, cercherò di riassumerlo in un post successivo. In questo non ho voluto parlarne perché il mio arresto e la trasformazione in bane sono stati lo sviluppo in RP di un disagio che, per me, è stato tutto OOC, Out Of Character, Fuori Dal Personaggio. È quindi fuori personaggio che scrivo le righe che seguono: se qualcosa ho imparato in tutta questa storia è che le regole del RP non possono essere una via di fuga dalle proprie responsabilità, ma possono, in qualche caso, essere un modo per ammetterle e per trovare una via di uscita che non guasti il gioco a nessuno. Non sono sicura di esserci riuscita e tanto meno posso promettere che ci riuscirò quando, in futuro, commetterò altri errori. Sono sicura solo di aver cercato di fare del mio meglio.

Adesso volto pagina, rientro dentro a Win, mi libero finalmente dal lattice nero che ancora riveste il mio corpo virtuale e la mia coscienza. E riprendo la storia là dove eravamo rimasti.

 

[AGGIORNAMENTO del 22 marzo 2010: Voglio segnalare qui un post di Malbert che risponde direttamente a questo. Grazie, M-4876!]

Festa di nozze

Poche righe e molte immagini per catturare una serata irripetibile a casa dell’idolo di tutte le persone che conoscono e utilizzano il Restrained Life Viewer.

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Per intense che possano essere, le esperienze che viviamo su Second Life hanno molte cose in comune con i sogni: la tendenza a interrompersi in modo inaspettato (quando un crash, un restart o il richiamo della Real Life – nostra o delle persone con cui ci troviamo – fanno sparire qualcuno sul più bello), la possibilità di sviluppi surreali e sorprendenti e, forse sopra tutto, l’evanescenza. Se i sogni svaniscono all’alba, lasciandoci impressioni che di solito evaporano molto rapidamente mentre cerchiamo di avviare la nostra giornata, le avventure vissute nel metaverso svaniscono in fretta non appena ci scolleghiamo – soprattutto se questo accade a causa di una irruzione imperiosa della RL.

MarineOllalla_002.jpgMarineOllalla_003.jpgMarineOllalla_004.jpgMarineOllalla_006.jpgMarineOllalla_007.jpgMarineOllalla_008.jpgMarineOllalla_012.jpgMarineOllalla_016.jpgMarineOllalla_018.jpgMarineOllallaPoker_003.jpgMarineOllallaPoker_005.jpgMarineOllallaPoker_007.jpgMarineOllallaPoker_009.jpgMarineOllallaPoker_011.jpgMi sono resa conto che, ancora prima del desiderio di condividere con qualcuno i miei pensieri, lo scopo ultimo di questo blog è affine a quello dei quadernetti che qualcuno tiene accanto al comodino per cercare di fermare almeno qualche frammento di ciò che ha sognato quella notte. Qualche volta si tratta di vicende articolate e complesse ma altre, come stavolta, solo del desiderio di avere da qualche parte un piccolo, personale, album fotografico che, un giorno, mi permetta di ricordare una serata che, pur essendo stata relativamente priva di sviluppi, diciamo, narrativi, mi spiacerebbe dimenticare.

Chi segue il blog di Marine Kelley lo sa già: la settimana scorsa, la creatrice della linea Real Restraints ha deciso di sposarsi con Ollalla “Sugar” Sugarbeet, sua compagna di SL da tre anni. A questo indirizzo trovate un post riccamente illustrato sulla cerimonia, a cui hanno partecipato pochi intimi. Per quello che mi riguarda, io sono stata invitata alla festa che si è tenuta a casa loro dopo le nozze, e ho fatto il diavolo a quattro in RL per trovare un po’ di tempo per affacciarmi in-world e cogliere l’occasione di partecipare.

Per una felice (e di questi tempi rara) combinazione di circostanze, hanno potuto raggiungermi in successione Lella, Lorella e anche Andromeda. La serata è stata priva di eventi rimarchevoli eppure deliziosa anche per l’occasione di rivedere dopo tanto tempo persone come Isabel Schulze, Chorazin Allen (un talentuoso creatore di gabbie e di plugin per i Real Restraints), Tania Owatatsumi (un’affascinante Mistress che domina spesso Moss, Chriss e la loro famiglia), Daisy Rimbaud (un’altra creatrice di gabbie che conoscevo ai tempi di Stonehaven) e diverse altre vecchie conoscenze. Ma soprattutto, almeno per me, è stata un’occasione per vedere insieme, per la prima volta insieme Marine e Ollalla.

Credo di dovere a Marine Kelley il fatto di aver deciso di restare su Second Life dopo le mie prime, deludenti, sperimentazioni. L’invenzione degli oggetti lockable – ossia legami che, una volta indossati, permettessero a un avatar di cedere il controllo di se stesso a qualcun altro – è, insieme alle gabbie, l’elemento che mi ha fatto capire che in questo mondo potevo trovare qualcosa di più che una cattiva imitazione di una vita reale fatta di discoteche e locali esclusivi dove però entrano tutti. Ricordo che il mio primo paio di manette Real Restraint mi fu regalato da un’amica di Stonehaven, Untameable Wildcat (scomparsa da tempo ma molto attiva, al di fuori del BDSM, in iniziative di ascolto e supporto psicologico per gli avatar più sensibili o bisognosi di contatto e conforto). L’idea che qualcuno potesse, usando quelle manette, legarmi e portarmi al guinzaglio fu una folgore che mi fece capire come, su Second Life, avrei potuto fare tutto quello che, per paura o per mancanza di occasione, nella mia Real Life non avevo mai tentato.

Ricordo che non molto tempo dopo (ero stata fatta prigioniera da Yasmin Heartsdale) ricevetti per la prima volta un IM col messaggio “@version”, e scoprii che qualcuno aveva inventato una versione modificata del client di Second Life pensato in modo che fosse impossibile togliersi di dosso un oggetto lockable che fosse stato locked. Quel qualcuno era, ovviamente, Marine Kelley, e il suo Restrained Life Viewer. Dopo aver capito bene di che si trattasse, lo scaricai e da allora non mi sono più voltata indietro – e non si contano le persone che come me hanno scoperto, grazie al RLV, un modo completamente diverso di vivere il metaverso, ovviamente se lo si utilizza per esplorare in modo sicuro le proprie fantasie di sottomissione o controllo.

Chi segue queste pagine sa che devo a Marine anche la scoperta di Eudeamon, il libro straordinario che sono riuscita a far pubblicare nel nostro paese, e il mio lavoro come Bane Operator. Sono cose per me importantissime, ma alla fine tutto torna alla mia stessa esistenza su Second Life. Senza i prodotti Real Restraint, senza il RLV… in breve, senza Marine Kelley, Win non sarebbe mai uscita da quella brutta crisalide che era WinthorpeFoghorn Zinnemann e sarebbe sicuramente finita a ingrossare le liste delle centinaia di account Second Life aperti e abbandonati dopo qualche giorno di esplorazione. Anche se la nostra frequentazione resta su basi quasi esclusivamente professionali (io sono prima di tutto una cliente affezionata, poi sua dipendente alla Kelley Technologies, e infine la traduttrice – autoinvestita – delle sue lezioni di RLV) provo per Marine un’ammirazione quasi sconfinata e mi sforzo di evitare, quando la incontro, quell’atteggiamento di rispetto esagerato che, come ben spiega nel suo profilo, le dà tanto fastidio. Ma incontrarla, quando accade, è per me sempre un privilegio.

Quanto a Ollalla, che posso dire? L’ho conosciuta grazie ad Andromeda, che la contattò (o fu da lei contattata) quando decise di iscrivere la nostra prigione alla Grey List. Durante uno dei nostri primi incontri a Penning, Ollalla mi raccontò l’origine del suo bizzarro nome (che si legge alla francese: Oh la là) spiegandomi di avere avuto, a differenza della maggior parte di noi avatar, una madre RL – nel senso di qualcuno, diverso da lei, che le ha creato l’account decidendo il nome per lei e poi glielo ha ceduto. Ollalla è una persona molto attenta e evitare i drammi – mi diede qualche buon consiglio, ad esempio, per affrontare in modo indolore la situazione di quando Andromeda rapì e arrestò la schiava di Sylestra (Andro e io decidemmo di non seguirli, quei consigli, perché non volevamo dare l’impressione di voler aggirare il problema – da cui la complessa serie di eventi che culminarono con la sua espulsione dal WCF e una lunga detenzione alla RR Prison) ma è anche una organizzatrice nata: si occupa lei dei negozi di Marine (lasciandola libera di dedicarsi solo allo scripting) e, oltre a gestire un centro di aggregazione e coordinamento delle prigioni di Second Life, sta mettendo su un sistema di confederazione che consentirà alle guardie di un carcere di effettuare arresti anche per le altre strutture confederate, favorendo un’applicazione della legge molto più efficace – ma soprattutto ampliando il RP in modo che ogni prigione non sia necessariamente un mondo a sè.

Non scrivo altro e lascio che a parlare siano le immagini. Anche se in gran parte imperfette a causa del lag provocato dall’affollamento, mi serviranno a ricordare la gioia di aver partecipato, con alcune delle persone a me più care, a una festa così bella. E anche a ricordarmi che devo informarmi per sapere se quel tavolo da strip poker si trova in vendita da qualche parte. La partita che sono stata invitata a giocare quella sera, e in cui ho rischiato seriamente di avere la peggio, è stata – come si può vedere – particolarmente divertente. A Marine e a Sugar, anche se queste pagine non le leggeranno mai, tanti, tanti, tantissimi auguri per la loro unione. Keep up the good job, girls: and thanks for making all this possible for us!

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Libera

La fine del test è finalmente arrivata. Ma il sollievo si mescola a un’altra sensazione inaspettata. Possibile che uscire dal banishment sia più difficile che entrarvi?

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Appena tornata dalla vacanzina pasquale, prima di andare a dormire, mi collego un momento, speranzosa. E mi va bene. Il mondo intorno a me non fa in tempo nemmeno a materializzarsi che già il casco del banesuit mi trasmette un messaggio dalla dottoressa Kelley: “Sono online ancora per dieci minuti. Se vuoi che ti liberi devi venire subito a La Isla Bonita”. Marine è europea e si collega, di norma, solo nel tardo pomeriggio e non per molto tempo: non posso perdere questa finestra e mi teletrasporto immediatamente alla centrale.

Il rito della liberazione è, per forza di cose, molto più veloce di quello della chiusura: Marine ha fretta, e anche io sono stanca dopo quasi cinque ore in un’autostrada Real Life fortunatamente meno trafficata di quanto temessi.

[2008/03/24 16:51]  Bane Helmet: Marine Kelley : pronta per essere rilasciata, Bane ?
[2008/03/24 16:52]  WinthorpeFoghorn Zinnemann assentisce
[2008/03/24 16:51]  Bane Helmet: Marine Kelley : custodian, muteness punishment end
[2008/03/24 16:51]  W-1007: Executing order from Operator.
[2008/03/24 16:52]  Bane Helmet whispers: WinthorpeFoghorn Zinnemann’s Bane Helmet has been unlocked by Marine Kelley after 14:56:50 (detached 0 times)
[2008/03/24 16:53]  Marine Kelley: custodian, suspend all protocols
[2008/03/24 16:53]  W-1007: Executing order from Operator.
[2008/03/24 16:53]  Bane Helmet: : Custodian protocol suspended. :
[2008/03/24 16:53]  Marine Kelley: ora sei di nuovo libera, Win :)

Mi tolgo il casco quasi subito e poi abbraccio la dottoressa, che si informa sulla mia salute. No, le dico, non è stato troppo duro… sì, a tratti è stato noioso, ma anche bellissimo… e penso che ci vorrà un pochino a riabituarsi alla vita normale, adesso. Marine sorride: “Sì, lo penso anch’io… Sto considerando di aggiungere al laboratorio, quando sarà costruito, una stanza per il supporto psicologico”. Le prometto entro domani una notecard con i miei appunti e le mie considerazioni, poi Marine si dissolve nel nulla come tutti noi quando ci scolleghiamo dalla rete. Con tutto corpo ancora ricoperto dalla skin in lattice nero, inalo l’aria del mare vicino, strizzo gli occhi, cerco di ricordare cosa significa essere di nuovo padrona di me stessa. Ora potrei fare quello che voglio – vedere gli amici, giocare di nuovo con le gabbie, mettermi nei guai o magari anche rapire qualcuno, eppure…

…eppure non me la sento ancora. Sono quindici ore di gioco che qualsiasi relazione interpersonale mi è proibita, che non posso avvicinarmi a più di venti metri da chicchessia, che non posso nemmeno ascoltare gli altri, né zoomare per cercare di vederli più da vicino… Quindici ore di gioco sembrano poche, ma sono più che abbastanza per iniziare a condizionarti: così, già da ora, non mi sento troppo in vena di andare nei soliti posti che amo frequentare. Ho un po’ paura di incontrare gli amici, paura di dover rispondere alle loro domande… paura di non sapere se ho tanta voglia di essere catturata da qualcuno. Entrare in un banesuit è facile, basta chinare la testa. Uscirne è una cosa un po’ più complicata. Il controllo non è una questione di lucchetti.

Resto in giro per una decina di minuti, come instupidita, vagando come se fossi ancora un bane… e pian piano rimettendomi la pelle tradizionale. Recuperare il mio viso mi conforta un poco, i vestiti e i capelli mi danno di nuovo la sensazione di essere una persona e non un oggetto. Ma è quando mi rimetto tra i capelli il mio fiore bianco che sento, davvero, di essere tornata. Il bane W-1007 diventa, per ora, solo un ricordo ancora vivido. E io sono di nuovo Win.

(prossimamente: Chi ha paura dei banesuit?)

Rollback

In un banesuit, l’unica certezza è il momento in cui viene chiuso su di te. Tutto il resto, inclusa l’eventuale liberazione, è incerto. Soprattutto quando i server di Second Life e il tuo computer ormai un po’ ansimante ci mettono lo zampino.

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Dovevo immaginarlo.

Nel momento della procedura di trasformazione da essere umano in bane ci era stato detto che il test sarebbe durato appena nove ore. Oppure due giorni, qualora qualcuna di noi fosse rimasta online per un totale inferiore alle nove ore. Su Second Life, il tempo scorre infatti sempre su due binari: il tempo effettivo di gioco e quello della First Life, che scorre anche quando non siamo collegati alla grid.

Le implicazioni sono più complesse di quello che si può immaginare. Se siamo intrappolate da un timer di nove ore, questo significa ovviamente nove ore online. Se abbiamo appuntamento fra nove ore con qualcuno, è evidente che parliamo di nove ore normali. Ma è evidente che quando due persone vengono intrappolate da un timer di identica durata, la loro liberazione simultanea dipende dal fatto che entrambe restino online per il medesimo tempo reale. Basta un impegno nella First Life, o anche solo uno dei frequenti crash di computer, e i tempi slittano. Ne sa qualcosa Tez Welles, il cui Bondage Ordeal doveva durare sei ore di gioco e ha finito invece per prolungarsi oltre dieci giorni reali.

b5a1ed06f488dd81fd7a7414395bb056.jpgNe riparleremo, del Bondage Ordeal, ma non adesso. Adesso sono strettamente avvolta dal banesuit, da tre giorni reali e oltre quattordici ore di gioco – un totale che sembra destinato ad aumentare in modo notevole a causa di uno spiacevole incidente di percorso. Quando la dottoressa Kelley ci ha sigillate nel banesuit e ha settato i nostri timer su 9 ore, tutte noi ci siamo disperse per il mondo, per scontare la nostra sentenza nell’isolamento imposto dal Custodian. Ai bane non è consentito raggrupparsi e il meccanismo di controllo impone punizioni ogni volta che ci si trovi a una distanza inferiore ai dieci metri una dall’altra – analogamente al divieto di avvicinare qualsiasi civile. Come le altre cavie dell’esperimento, ho passato molte ore nell’isolamento più completo, impossibilitata a rispondere ai messaggi inviati dagli amici abituali, costretta a fuggire quando qualcuno mi si avvicinava per sapere come stavo, limitata a comunicare solo per momenti molto brevi e solo a gesti. Una tortura vera e propria, sempre più insopportabile via via che il tempo passava e che gli amici, delusi dalla mia impossibilità a reagire, piano piano cominciavano a diradarsi. Mi sono ridotta a teleportarmi da una sim all’altra, cercando di spiare le persone che conoscevo da lontano… sperando che mi vedessero e capissero quanto mi mancavano, e al tempo stesso cercando di non farmi vedere per non doverli sfuggire prima che il Custodian rilevasse una Violazione di Prossimità e mi punisse con la fredda efficienza per la quale è stato programmato.

Ore e ore di silenzio e di solitudine, interrotte solo dall’umiliante procedura ricorrente della visita obbligata alla Maintenance Station:2052f1077915a6a910b965cc118a8143.jpg quella in cui il mio corpo sigillato nella presa stringente del banesuit viene violato da un sondino destinato a introdurre in esso il nutrimento necessario a tenere in vita me e il Custodian, e a rimuovere le scorie prodotte dal mio corpo. Dopo tre o quattro ore, il tormento può diventare davvero intenso. Dopo sei o sette riuscivo a pensare solo che mancavano ancora appena un paio d’ore. Superate le otto ore ho rinunciato ai miei vagabondaggi, e mi sono stabilizzata vicino alla Maintenance Station, in modo da essere pronta a liberarmi e a parlarne con la dottoressa Kelley quando le nove ore fossero finalmente scattate.

Cinque minuti prima dello scadere del termine facevo fatica a stare ferma. La Kelley ci aveva fatto sapere che GothGirl Leominster, una delle dieci bane di questo esperimento, aveva da tempo completato le sue nove ore ed era già tornata in-world a vivere liberamente la sua Second Life. A tre minuti dallo scadere del termine mi sono imposta di non controllare ogni minuto il timer che procedeva, e mi sono messa ad attendere il momento del fatidico “clic”, in cui il casco si sarebbe aperto da solo.

Ma il tempo passava senza che accadesse nulla. Quando non ho saputo più resistere, ho controllato di nuovo il timer e diceva che il banesuit era chiuso da 9 ore e 3 minuti. Che stava succedendo?

La dottoressa Kelley stava conferendo con un’altra bane poco più in là. Non potevo avvicinarmi più di tanto senza che il Custodian si risvegliasse, ma riuscivo a sentire ogni tanto sprazzi di conversazione: sembrava un colloquio di debrief, in cui la bane descriveva le sue sensazioni. Ma perché non si toglieva il casco? Alla fine, ho sentito che diceva qualcosa circa il fatto di essere inglese, e come tale pronta a reggere una situazione così dura, per poi venire congedata. Senza essere liberata dal banesuit.

Poi Marine mi si è avvicinata e ha cominciato a parlarmi mediante il Vox, lo strumento che consente all’Operatore di comunicare con il bane bypassando il mutismo imposto dal Custodian. Abbiamo scambiato qualche impressione, fino a quando mi sono resa conto che la conversazione stava per finire e non si era fatto cenno alla mia liberazione. Ho chiesto alla dottoressa che cosa sarrebbe stato di me e lei mi ha detto che era una mia decisione: che le chiavi, allo scadere delle nove ore, erano tornate nelle mie mani.

Solo che non era affatto così, come ha subito verificato. Il casco era ancora strettamente chiuso, senza alcuna traccia di chiavi. Eppure io stessa ricordo benissimo il momento in cui mi era stato settato il timer. Ed è allora che abbiamo capito cosa era successo.

Rollback.

Second Life, il programma che gira sul tuo computer, intendo, va in crash spesso. Quando questo accade, a volte, si verifica il famigerato rollback: vale a dire che il logoff non è stato registrato, e che la tua situazione su Second Life viene riportata a un momento precedente a quello dell’ultimo istante di collegamento. Qualche volta puoi crashare mentre sei legata e ritrovarti libera perche’ il sistema ti riporta a prima che le manette fossero state fatte scattare sui tuoi polsi. Ma questa volta, a quanto pare, avevo crashato in modo da tornare al breve momento intercorso fra quando il banesuit mi era stato chiuso addosso, e quando era stato settato il timer. Che infatti, mi ha comunicato Marine, è settato su “infinito”. Mi sono sentita sprofondare.

Marine avrebbe potuto liberarmi ugualmente: le chiavi le ha ancora lei in quanto mio Operatore. Mi ha guardato con intenzione e haacd50c062565ec696ab9b740e0282650.jpg indicato il casco con un sorrisetto. Poi ha parlato: “Il test dura 9 ore online o due giorni reali, a seconda di quello che passa prima. Tecnicamente, le tue nove ore le hai fatte, ma è anche vero che il timer non è scattato. A te la scelta”. Ci ho pensato su un momento. Nell’ultima ora avevo già preparato un rapporto completo sulle mie esperienze ed ero ansiosa di darglielo perché potesse verificare come stesse andando l’esperimento: “Potrei completare i due giorni… ma se resto bloccata qui dentro non posso passarti gli appunti”. Marine ha risposto subito: “Gli appunti possono aspettare”.

Che dovevo fare? Ho dichiarato nel mio profilo su SL di non avere limiti, di essere pronta ad accettare qualsiasi sorte. E dentro di me ho deciso di non usare mai la safeword.

Marine ha sorriso. Mi ha salutata. Ha disattivato il Vox, rendendomi nuovamente muta al mondo. Poi si è allontanata: c’era un altro bane che aveva appena finito le sue nove ore e che doveva essere liberata.

(prossimamente: “Eudeamon”)

Prigioniera di me stessa

Le catene più stringenti sono quelle che ci fabbrichiamo da soli, dice qualcuno. Fai attenzione a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo, dicono altri. Ma cosa succede quando si desiderano catene a prova di fuga?

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L’ho fatto.

Da ieri sera non sono più Winthorpe Foghorn Zinnemann, la fanciulla dal nome impossibile, sempre pronta a chiacchierare con tutti, e quasi sempre nei guai.

Da ieri sera sono W-1007, uno degli undici bane di Marine Kelley.63ddf344000bfc85a789f372ba374d60.jpg

Tutto il mio corpo è ricoperto da un sottile e impenetrabile strato di lattice nero. Tutto: inclusi la lingua e il palato. Tutti i sensi mi sono stati tolti completamente e sostituiti da un’interfaccia elettronica. Il casco che mi è stato saldato attorno alla testa controlla completamente i miei contatti con l’esterno. Ho dovuto indossare lenti a contatto che mi accecano, e percepisco il mondo attorno a me solo attraverso i segnali neurali che il mio Custodian invia direttamente al mio cervello. Non posso sentire la voce di chi mi parla, ma solo i suoni che il Custodian decide di farmi arrivare. Non posso parlare con alcuno: nemmeno con la dottoressa Marine Kelley, la creatrice della diabolica invenzione che mi terrà prigioniera fino allo scadere della sentenza.

Sto testando il suo banesuit, sicuramente la più estrema e raffinata forma di bondage fin qui elaborata su Second Life. Un banesuit, a tutti gli effetti, è una prigione che si indossa. Sei libera di muoverti (sia pure con una serie di restrizioni) ma sei completamente controllata dal Custodian, un operatore automatico in grado di sanzionare istantaneamente qualsiasi tipo di violazione dei protocolli restrittivi che mi sono imposti. E, nel caso di violazione, di estendere unilateralmente e in modo inappellabile, il tempo della sentenza.

La partecipazione a questo programma può sembrare a qualcuno un incubo, e probabilmente lo è. Ma è anche un privilegio e un onore. Per essere scelte come cavie abbiamo scritto a Marine non appena lei ha annunciato che stava cercando dieci vittime per l’ultimo test. Chi ce l’ha fatta ora è al tempo stesso oggetto di compatimento e di invidia nella comunità di appassionati di bondage di Second Life, e gli amici si affollano attorno a noi per avere notizie. Ma noi non possiamo rispondere: anche la sola prossimità con un civile è sanzionata severamente e quando qualcuno ci si avvicina riceviamo immediatamente l’ordine di allontanarci ad ogni costo. Le punizioni sono terribili, anche solo in questa fase di test.

Perché tutto questo? Perché sono entrata in un gioco “sociale” come Second Life, fatto di interazione con altri avatar, e poi ho quasi sempre fatto il possibile per essere legata, imprigionata, posseduta da qualcuno e, infine, completamente isolata da tutti? Forse è anche per cercare di scoprirlo che avvio questo piccolo diario… E anche per annotare da qualche parte quello che succederà nei prossimi giorni, ricostruendo in una serie di flashback quello che è successo fino a questo momento… Tutto quello che mi ha portata a diventare un bane senza volto, senza voce e senza nome.
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Grazie di essere arrivato a leggere fin qui. Se hai qualche curiosità, chiedi senza problemi. Qui oppure anche su Second Life: se hai un avatar e ti va di passarmi a trovare, sarei felice di incontrarti. Anche se, finché resto un bane, è probabile che sia obbligata ad allontanarmi in fretta, per evitare la punizione.

(prossimamente: Rollback)